«Io sotto scorta per le mie inchieste»

«Nella Capitale opera un’organizzazione di stampo mafioso che controlla in modo capillare ed estremamente efficace il territorio. E chi vuole fare affari o trafficare in droga all’interno del Grande Raccordo Anulare deve fare i conti con quest’organizzazione». Ne è convinto Lirio Abbate, giornalista dell’Espresso nato a Palermo 43 anni fa e che da sette gira sotto scorta. La sua vita è in pericolo. Prima lo era per le minacce di Cosa Nostra. Oggi anche per quelle della cosiddetta «Fascio-Mafia», l’«organizzazione» a cui si riferisce. Com’è vivere sempre con la scorta? «Ci fai l’abitudine. Tu sai di fare il mestiere più bello del mondo, il giornalista, e non pensi che stai mettendo a rischio la tua esistenza. Quando lo scopri, dici: ben venga la protezione». Non sei limitato nei tuoi movimenti? «I disagi sono minimi rispetto alla sicurezza e poi non ci sono divieti precisi. Se devi fare una cosa, se ne parla e si cerca un accordo. Se non si trova, ovviamente, non la fai...». Che tipo di minacce hai ricevuto e da chi? «Sono minacce registrate dagli investigatori siciliani e calabresi. Intercettazioni ambientali di dialoghi in cui si capiva che non mi volevano bene...Un anno fa, ad esempio, in Calabria due persone sospette cercavano di capire dove fossi e che cosa facessi perché volevano colpirmi. Poi commentavano un mio libro e uno di loro diceva: "Non comprare il libro di questo cornuto: non dobbiamno dargli soldi, gli dobbiamo sparare"». Gli episodi sono stati numerosi? «Qualche decina. Ma non mi piace fare la vittimna e nemmeno mettermi in mostra, per cui molti non li ho mai resi noti. Alcuni, quindi sono inediti. Tanto per dire, a settembre, un’auto rubata all’Eur è stata fatta trovare sotto la redazione dell’Espresso in sosta. Dentro c’erano acuni proiettili e un biglietto per me, con il mio nome...». E poi? «Due settimane fa siamo stati seguiti e poi speronati da un’auto con due persone a bordo dalle parti di Corso Vittorio. Ci seguivano, la nostra vettura si è fermata in mezzo alla strada e loro, per fuggire, ci hanno speronato. Uno è scappato e uno è stato fermato. Ufficialmente nessuno dei due aveva a che fare con la malavita e se la sono cavata con una multa, anche se le indagini non sono finite». Perché pensi di essere finito nel mirino? «Qui a Roma non erano abituati ad avere un giornalista rompicoglioni tra i piedi, probabilmente. Se ti limiti a pubblicare le carte giudiziarie va bene, se vai oltre è una cosa in più e loro si chiedono: "ma questo per chi lavora?"». Che cosa sta succedendo, secondo te, nel panorama criminale della città eterna? «È in corso un’evoluzione. Mentre a Ostia o sul litorale pontino ci sono ’ndrangheta e camorra, all’interno del Raccordo c’è un’organizzazione di stampo mafioso articolata, capillare e che controlla in modo pazzesco il territorio. Una "416 bis" che possiamo chiamare come ci pare, tipo "La Lupa". C’è un capo, una Cupola e dei gregari. E ci sono collegamenti con alcuni ex estremisti di destra. Estremisti del passato, ma che oggi pensano solo al business, ai soldi. La foto è quella di una metropoli tranquilla. Però non è così. E chi vuole fare affari all’interno dell’anello d’asfalto che circonda la Capitale d’Italia deve chiedere il permesso e pagare una sorta di royalties all’Organizzazione».