Da Battisti agli 883, quanto è dura cantare fuori dal coro sinistro
Per Marx, l'ideologia era una cosa seria. Per Gramsci lo era l'egemonia. Ecco, prendete queste due serietà (colonne del pensiero moderno) e mettetele nel frullatore. State tranquilli che se a fare il cocktail è la sinistra italiana, il risultato è una brodaglia o troppo dolce o troppo amara, ma sicuramente non commestibile. Lo dimostra il rapporto - a tratti comico - di quella che è comunemente riconosciuta come «intellighenzia» con il mondo della musica. Un teatrino costellato da conflittualità, marce indietro, innamoramenti brucianti o tardivi, contraddizioni e pregiudizi. Insomma, per dirla con Giacomo (non Leopardi, ma il compare di Aldo e Giovanni nel comico trio), «niente di serio». Ma, a pensarla come Ennio Flaiano, può essere comunque grave. Ne seppe qualcosa Lucio Battisti. Mentre negli anni della contestazione, dell'impegno, un cantante per essere accettato dalla critica della sinistra doveva fare il tamburino di quelli che tiravano le molotov e giocavano al maoismo alla carbonara, Battisti si trastullava in mezzo ai fiori rosa e fiori di pesco. Per di più cantava di un ipotetico «mare nero» e, nella famosa «non è Francesca» la donna del testo non ne esce benissimo quanto a serietà. Tanto bastò per fare di lui un nemico delle femministe e lasciarlo fuori dai festival hippy che la rivista «Re Nudo» promuoveva in quegli anni. Fascista? Certo, condannato senza appello. Pierangelo Bertoli, cantautore della sinistra impegnata, ne declamò anni dopo i capi d'accusa. Adesioni mediante tessera? Apologie? No. «Lo si sapeva e basta». Peccato che il diretto interessato l'avesse negato. Era così che funzionava, bastava che lo sapessero o gli altri. O che sembrasse agli altri. Un indizio, ad esempio, erano gli occhiali scuri. Lo raccontò più volte Enrico Ruggeri, che negli anni '70 muoveva i primi passi nelle band giovanili e proprio per la sua montatura - unita alla sua ritrosia per i 6 politici al Berchet- fu subito etichettato. Al mitico Lou Reed, invece andò decisamente peggio. Nel '75, in un concerto milanese, non arrivò a cinque canzoni e dovette scappare dietro le quinte per la pioggia di bottiglie che una nutrita schiera di attivisti del movimento gli fece arrivare sul palco. La colpa? Un sospetto look di vestiti neri e capelli corti. Dunque discriminazioni fisiognomiche (non erano, quelle sì, di destra?). L'altro filone era quello della propaganda. Lo spiegò bene Don Backy, nove anni fa, quando la partecipazione al reality de «La Talpa» gli permise di ripercorrere, con alcuni giornali, la gloria dei tempi che furono, quando cantava «L'immensità». Lui era di sinistra, ma in quanto melodico, era «non funzionale a fidelizzare le masse». Cantare d'amore non andava bene e ciò gli costò l'indifferenza e l'ostracismo, insieme a un altro gruppo di colleghi di cui fece l'elenco parlando al Corriere della Sera : «Sergio Endrigo, Bobby Solo, Nada, Little Tony, Nicola di Bari, Bruno Lauzi». Proprio quest'ultimo, geniale, poliedrico, coltissimo, sfidava apertamente gli «impegnati». Con una canzone, «Arrivano i cinesi», prese in burla i fan nostrani di Mao Tse Tung. Peccato forse veniale, al confronto dell'essere iscritto al Partito Liberale. Fu così che per anni la Rai non la vide neanche col binocolo e deliziava con il suo talento i telespettatori delle emittenti private del Nord. Gli anni '80, chiaramente, alla sinistra non piacevano. Gente cresciuta a pane e rivolucion (ma la sera tutti davanti al piatto di pasta) non poteva, certo, plaudire ai testi e alle note di gente che anelava i bagordi di Ibiza (Sandy Marton) oppure la buttava sulla venalità spinta scegliendo come nome d'arte Den Harrow dalla cacofonia facilmente intuibile (denaro). Quelli che nella Guerra Fredda stavano con Madre Russia aborrivano le ballatissime hit in inglese di interpeti italiani. Fino agli anni '90, che si aprirono con un duo emergente, gli 883. Il singolo del loro lancio, «Hanno ucciso l'uomo Ragno», nessuno sapeva cosa significasse. Per il resto puntavano il microfono sulla vita di pronvincia, i bar, i videogiochi, la super bellissima che non ci starà mai, i soldi che mancano per il pieno benzina. Il frontman, Max Pezzali, per di più, aveva avuto in adolescenza la tessera del Fronte della Gioventù. Tanto bastava per farlo ignorare da certa critica e, soprattutto, tenerlo fuori dal tempio della musica «de sinistra», cioè il sudatissimo concerto del Primo Maggio. Poi, con il tempo, le cose si sono aggiustate e Max Pezzali, oltre alle comparsate in kermesse di centrodestra si è affacciato anche ad happening del Pd. Capitolo a parte meritano poi le retromarce. Quelli che, a un certo punto, hanno fatto come Fantozzi con la corazzata Potemkin e hanno detto che no, la sinistra così com'è non può andare. E si sono liberati da un abbraccio ultradecennale. Un elenco di nomi illustri: Ligabue, che fu persino consigliere comunale del Pds a Correggio nei primissimi anni '90, e qualche mese dopo le elezioni politiche dello scorso hanno ha esternato le sue simpatie grilline. Poi Piero Pelù, scagliatosi contro Renzi al Concerto del Primo Maggio sull'utilità degli 80 euro. E, infine, Francesco De Gregori, che con la «sua parte» ha avuto frizioni ripetute, sia negli anni d'oro, sia in quelli più recenti, epoca veltroniana. Anche lui post elezioni 2013 si è chiamato fuori, e addirittura non è salito sul carro di Renzi.Insomma, una specie di telenovela, con pessime immagini ma una buona colonna sonora. A questo punto, forse, Marx e Gramsci prenderebbero a modello Jimi Hendrix e spaccherebbero una chitarra per dare un taglio alla pantomima. Contrordine, compagni, la musica è finita.