Le frasi nascoste (pro Mancino) di Riina
Ancora omissioni e bugie sulle parole del boss in carcere Altro che perno della Trattativa. L'ex ministro «era un nemico della mafia»
Le lunghe «chiacchierate» in carcere fra Totò Riina e il boss della Sacra Corona Unita, Alberto Lorusso, intercettate per mesi dalla Direzione investigativa antimafia di Palermo, non dicono quello che molti giornali hanno diffuso. Anzi, spesso raccontano l'esatto opposto. Le parole (ribaltate o omesse) del capomafia non riguardano solo Giulio Andreotti, che al contrario di quanto propalato sui mezzi di informazione, Riina non l'ha mai incontrato, né con la scorta né senza. Lo dice lo stesso boss dei corleonesi, che nega più volte sia di aver baciato l'ex presidente del Consiglio che di averlo visto, fino a sfogarsi dicendo «se lo incontrassi gli sputerei in faccia». MEZZE VERITÀ Anche su Nicola Mancino, ex ministro dell'Interno imputato per falsa testimonianza nel traballante processo sulla Trattativa Stato-Mafia, sono state scritte solo mezze verità, mentre enormi omissioni riguardano l'ex generale del Ros, Mario Mori, accusato della mancata cattura del boss Bernardo Provenzano e di aver favorito «lo sviluppo della trattativa» ma poi pienamente assolto. Chiedendoci ancora qual è il criterio con cui giudicare le parole del boss, se prenderle tutte per buone perché non sa di essere intercettato o ignorarle perché, sapendo di esserlo, sono studiate a tavolino, soffermiamoci sull'ex ministro dell'Interno. È vero, com'è stato scritto, che Riina ha affermato «Ma che vogliono sperimentare che questo... Mancino trattava, trattò con me, così... loro vorrebbero, così vorrebbero... ma se questo non è avvenuto mai... questo (...), ma se non c'è stato... non ce né...». Ma sullo stesso Mancino il boss dice ben altro. Il 9 settembre 2013, infatti, Riina parla a lungo, e fra le tante cose che dice a Lorusso c'è anche questa: «Vogliono dire che fu Mancino che... vogliono accusare Mancino... che razza di... minchia...(...) un nemico numero uno (...) quello è un nemico della mafia... un nemico... no un amico, un nemico...». NEMICO DEI BOSS Mancino nemico numero uno della mafia, dice il Padrino. Una frase inspiegabilmente «scartata» dai professionisti dell'«antimafia di carta». Ma incredibili svarioni giornalistici riguardano anche l'ex generale Mori e la cosiddetta «Trattativa Stato-Mafia». Quello che sappiamo dalla lettura dei quotidiani è che Riina ha smentito Massimo Ciancimino, figlio di don Vito e grande accusatore di Mori (poi sbugiardato e finito a sua volta sotto processo per calunnia). E lo ha fatto con queste parole pronunciate il 12 agosto 2013: «Io, mio padre, il colonello Mori convincemmo, convincemmo a Provenzano a fare arrestare Riina - afferma il boss riportando le dichiarazioni di Ciancimino -, ma santo cielo... tu, tu Ciancimino... sei un folle di catene, tu sei un folle di catene (...) sei un folle, siete due folli da attaccare. Se dici tu e tuo padre... ma che ci mettete a Provenzano...». TOH, CIANCIMINO Però spulciando attentamente fra le 1300 pagine di intercettazioni, ci si imbatte in una curiosa premessa annotata a verbale dalla Dia prima dell'intercettazione del 28 settembre 2013. «Riina - si legge - contesta la tesi dell'accusa secondo cui Vito Ciancimino e il figlio avrebbero riferito al generale Mori che Binnu Provenzano era disposto a collaborare con loro per farlo arrestare. Sottolinea che questi soggetti stanno imbrogliando e aggiunge che sarebbe opportuno che la finissero, i magistrati, di fare i processi con le chiacchiere». Non è tutto, perché l'8 novembre 2013 Riina pronuncia una frase fondamentale. Il boss passeggia ancora con Lorusso nell'ora d'aria del 41bis. Lorusso afferma: «Se invece si deve dire che c'era la Trattativa Stato-Mafia, allora...», quando il Padrino interviene smentendo l'ipotesi della Trattativa: «No, ma non c'è, perché poi non ha fat...». E subito dopo lo stesso Riina aggiunge: «Quello è stato assolto un sacco di volte, il generale (parla di Mori, ndr), perciò...», fino alla frase centrale: «È Mori, noialtri non è che ci fa da arbitro, ci fa...i fatti...». FATTI NON PAROLE In queste parole c'è anche l'assunto della difesa di Mori al processo che lo vede imputato, perché l'ex generale ha sempre sostenuto che gli incontri con Vito Ciancimino avevano come fine l'arresto dei latitanti, i «fatti», dunque, la lotta alla mafia, e non la «trattativa» con Cosa Nostra. Ed è dunque più che probabile che Riina, dicendo «non è che ci fa da arbitro, ci fa i fatti», intendesse dire «quello non viene da noi a parlare, quello ci ingabbia». È anche la logica a suggerircelo: se lo Stato (o pezzi di esso) decide di trattare con la mafia, perché per farlo dovrebbe scegliere un «cacciatore di latitanti» come Mori, un uomo del generale Dalla Chiesa che la mafia teme e di cui non si fida? Infine, quando Lorusso afferma che «le prove documentali sono tutte contro questi teoremi, i fatti sono tutti contro queste affermazioni della procura», Riina aggiunge: «E loro vorrebbero fare entrare il porco per il di dietro», cioè, più o meno, vogliono impuntarsi nel voler vedere le cose a modo loro nonostante i fatti dimostrino l'opposto. Domani, nella terza puntata, ci occuperemo di quello che Riina dice a proposito del «papello», il presunto documento contenente le richieste della mafia allo Stato. E ci sarà da rabbrividire. (2 - continua)
Dai blog
Generazione AI: tra i giovani italiani ChatGPT sorpassa TikTok e Instagram
A Sanremo Conti scommette sui giovani: chi c'è nel cast
Lazio, due squilli nel deserto