Alla ricerca dell’avventura a rischio. La moda letale dei viaggi fai da te
Cercano l’avventura e spesso trovano la morte. Oppure vengono rapiti, o ancora, restano vittime di incidenti gravissimi. La triste giornata di ieri, che ha registrato l’incidente mortale in Bolivia costato la vita a tre turisti italiani e un secondo dramma verificatosi in Valtellina, dove sono morti quattro scalatori, non rappresenta più un’eccezione. A volte, purtroppo, si va incontro alla cattiva sorte coscientemente, scegliendo di andare in vacanza in zone a rischio, senza precauzioni, improvvisando, senza informarsi. Le conseguenze sono drammatiche per i turisti che si avventurano nelle “giungle” del mondo e per le loro famiglie, ma “costano”, e caro, anche allo Stato italiano, che si trova a dover intervenire per riportare a casa i nostri connazionali. Non è un caso se da anni aleggia una proposta, mai approvata, lanciata nel 2009 dal Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza, che prevede di far pagare la “leggerezza” compiuta allo stesso turista imprudente, il quale dovrebbe farsi carico delle spese sostenute dallo Stato italiano nel caso in cui il cittadino sequestrato non abbia rispettato le cautele suggerite dal ministero degli Esteri. Un modo per prevenire e indurre a riflettere prima di imbarcarsi per luoghi remoti e pericolosi. C’è chi, dilettante, sceglie di scalare la montagna ostica per non fare mai più ritorno a casa; chi si reca a pochi chilometri da bombe che esplodono; chi, ancora, sceglie luoghi noti per facili omicidi e rapine; o chi si avventura in vacanze organizzate da tour operator non in grado di garantire spostamenti sicuri o mezzi di trasporto decenti. I casi sono tanti, troppi e in crescita. Nel 2012, ad esempio, Paolo Bosusco, guida turistica per viaggi estremi, viene rapito dai maoisti indiani nello Stato dell'Orissa e rilasciato dopo qualche settimana. Qualcuno ha pagato? Un anno prima, in Algeria, finisce nelle mani di al Qaeda nel Maghreb una turista toscana, Maria Sandra Mariani. Viene rilasciata più di un anno dopo. Secondo indiscrezioni, sempre smentite dalla Farnesina, il riscatto pagato sarebbe stato di 3 milioni di euro. Qualche anno prima i pirati somali rapiscono Bruno Pellizzari, velista che si trovava a bordo della sua imbarcazione al largo della costa della Tanzania. Rilasciato anche lui “ufficialmente” senza un riscatto pagato. Molti anni prima, nel 2005, la cooperante Clementina Cantoni viene rapita a Kabul mentre si reca a una lezione di yoga. Non è stata ieri la prima volta che un viaggio prenotato con “Avventure nel mondo” finisce male. Nel 2011 una turista di Vercelli, Rosangela Ubezio, si reca in Namibia per un safari di gruppo. È sull’autobus quando scoppia una gomma, il mezzo si ribalta e la donna perde la vita. Molti i feriti fra gli altri 20 turisti italiani, alcuni gravissimi. Il console italiano, dopo l’incidente, dichiara: “Sarà forse solo un caso, ma è successo che per tre anni consecutivi Avventure nel Mondo ha avuto degli incidenti con degli italiani che sono morti”, per poi aggiungere: “Sul sito della Farnesina “Viaggiare Sicuri” mettiamo diversi avvisi, perché ogni anno gli incidenti mortali sulle strade della Namibia sono innumerevoli”. Poco più di un mese fa, invece, due centauri comaschi, prima di raggiungere la Mongolia e dopo aver percorso migliaia di chilometri, finiscono in ospedale a causa di uno scontro con due auto. E ancora. Nel maggio scorso un turista italiano, Natan Carnevali, viene trovato morto in una foresta della Cambogia. Un paio d’anni fa un altro turista italiano, Vittorio Di Gennaro, viene rinvenuto senza vita nella riserva naturale di Ankarana, nel Madagascar. Nello stesso periodo Mario Bergamaschi perde la vita nello stato brasiliano del Mato Grosso. Il corpo viene ripescato nel fondo di un dirupo chiamato “Portao do Inferno”. Ed è ancora un italiano quello rapito in un agguato e ucciso nel 2011 in Etiopia. E poco tempo prima, sempre in Brasile, un turista bergamasco, Roberto Puppo, viene ucciso a colpi di pistola. Nel 2010, infine, Stefano Gioia muore in Cile mentre fa rafting con un gruppo di sei turisti. E poi c’è la lunga, triste lista di chi per le vacanze sceglie le montagne innevate, che spesso d’estate si rivelano “compagne di morte” e non d’avventura.