Bologna, il processo surreale. Troppi dubbi sui neri «colpevoli»

Il processo per la strage di Bologna è un processo «incompiuto». Esistono grandi romanzi incompiuti, sinfonie incompiute, scheletri di edifici mai terminati e, probabilmente solo in Italia, ricostruzioni giudiziarie incompiute. L’inchiesta venne avviata a Bologna subito dopo l'esplosione, trasferita a Roma quando i servizi segreti sostennero la responsabilità dei Nar (una organizzazione neofascista romana) archiviata a Roma quando nulla di serio emerse dopo i primi anni di indagini, e restituita per «competenza territoriale» a Bologna. Qui, con le stesse carte giudicate insufficienti dai colleghi romani, la magistratura locale confezionò i rinvii a giudizio. Si tenne un primo processo in cui furono condannate diverse persone, si tenne un processo d’appello dove su insistenza dei giurati popolari tutti furono assolti dal reato di strage ma condannati per una generica «partecipazione a banda armata». Ci fu una sentenza di cassazione che trovò incongruente il fatto che da un lato esistesse una «banda armata» e dall’altro si ritenesse che però quella banda non fosse stata responsabile della strage. Quindi il processo venne rifatto e, seguendo l’impostazione indicata dalla Cassazione, si giunse alla conclusione che il fatto stesso che nel 1980 esistesse una banda armata di destra, questa non poteva non essere responsabile anche della strage. La sentenza fu però, come dicevamo, molto incompleta.     SENTENZE E CONTROSENSI Condannava tre persone (Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e, dopo un processo davanti al Tribunale dei Minori anche Luigi Ciavardini) come «appartenenti alla banda armata che ha organizzato e realizzato l'attentato di Bologna». Notare la scelta dei termini. I tre giovani neofascisti non vennero condannati per aver materialmente piazzato la bomba a Bologna, ma per aver «fatto parte del gruppo che sicuramente quell’atto aveva organizzato». E furono condannate altre 4 persone, Licio Gelli, Francesco Pazienza, e due generali dei carabinieri, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, con l’accusa di aver fornito nel corso delle indagini informazioni non veritiere e depistanti. E così una sentenza che individuava 3 degli esecutori ma non gli esecutori materiali, e 4 dei depistatori, ma non i mandanti, era chiaramente vulnerabile. Perché la ricostruzione giudiziaria avesse un capo e una coda mancavano molti tasselli: occorreva individuare le persone che materialmente il 2 agosto fossero state presenti dentro la stazione per deporre l’ordigno. Occorreva individuare la provenienza dell'esplosivo. Occorreva poi individuare chi avesse coordinato il gruppo intermedio composto da Fioravanti-Mambro-Ciavardini con il gruppo degli esecutori materiali. E poi in ultimo, dettaglio non di poco conto, occorreva individuare un movente. Sostanzialmente i processi tenuti a Bologna sul movente non avevano speso molte energie, in fin dei conti tutto era riconducibile all’assioma che la gente di destra è cattiva per natura, e quindi se ci sono delle stragi le fanno sicuramente loro.     PELLEGRINO E NON SOLO Sulla mancanza di un movente ragionevole fu molto chiaro Giovanni Pellegrino, eletto senatore quando ancora il partito comunista si chiamava Pci (rimase nel partito anche quando cambiò nome) eppoi presidente della Commissione Stragi per 6 anni. Più volte su «Bologna» Pellegrino espresse profonde e ragionate riserve su come erano state gestite le indagini prima e i processi dopo. «Indipendentemente da quello che uno voglia pensare di Mambro e Fioravanti, il difetto principale di quella sentenza è che è appesa nel vuoto. Il movente è il punto più debole: perché mai la P2 o la DC, nel momento della loro massima stabilità, avrebbero dovuto destabilizzare una situazione a loro totalmente favorevole?». In effetti ancora oggi nessuno, nemmeno i più convinti «colpevolisti», riesce a dare una spiegazione plausibile del perché, nell’estate 1980, dei giovani neofascisti, che l'accusa presume genericamente manovrati dalla Cia, dalla P2 e da Andreotti, avrebbero dovuto uccidere dei turisti di passaggio alla stazione di Bologna. La formula di rito, in questi casi, è «lo hanno fatto al fine di destabilizzare per stabilizzare», ossia spaventare la popolazione che così avrebbe votato con più convinzione la Dc. Ma, si domandava Pellegrino, perché mai dei servizi segreti, allora totalmente in mano alla P2, avrebbero dovuto organizzare un attentato, e poi fare la brutta figure di non riuscire ad individuare i colpevoli? Perché mai uno tipo Licio Gelli, giunto al massimo livello di potere, avrebbe dovuto demolire il suo stesso potere, costringendo i suoi uomini infiltrati ai massimi vertici delle istituzioni a dichiararsi incapaci e impotenti nel corso delle indagini? E soprattutto, la Dc aveva rischiato il «sorpasso» da parte del Pci nel 1976 e nel 1977, ma nel 1980 tutto era tornato calmo, la Dc aveva ricompattato il suo elettorato, e non correva più rischi dal Pci, che anzi era lui ad essere in difficoltà.     COMMA 22, SENZA PROVE Ma quello del senatore Pellegrino era solo un ragionamento, e per quanto apparisse sensato, non poteva modificare l'impianto di un processo. I giudici però, nello scrivere le sentenze di Bologna, si erano accorti che mancava qualcosa, ma chiedevano un credito di fiducia: promettevano che mandanti, movente, fornitori di esplosivo ed esecutori materiali sarebbero stati individuati in una inchiesta bis. Dal 1980 sono trascorsi 34 anni, e l'inchiesta bis non ha dato risultati. Tutto è stato archiviato. Alcuni sostengono che sia stato impossibile risalire ai mandanti per colpa dei soliti, impalpabili, «depistaggi». Altri sostengono che a rendere impossibili ulteriori sviluppi sia stato il fatto che sin dall’inizio sia stato imboccato un vicolo cieco. C'è un libro famoso, «Comma 22», che ha dato il nome ad un paradosso della logica. Narra dei tentativi dei piloti militari statunitensi (all’epoca ancora militari di leva) di non farsi mandare nelle missioni peggiori simulando problemi mentali. Il loro regolamento, nella finzione letteraria, al comma 22 recitava: «Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo». Nei processi di Bologna il Comma 22 è presente dall’inizio alla fine. L’intero processo si regge sull’ipotesi del «depistaggio». Poiché non sono state trovate prove concrete del coinvolgimento materiale degli imputati, la prova principale contro di loro diventa la... mancanza di prove. Chi, infatti, avrebbe potuto nascondere così bene le prove se non i veri responsabili della strage?     LA VERITÀ FA MALE E se Polizia, Carabinieri e Servizi Segreti non hanno fornito ai magistrati le prove che servivano, ma solo piccoli indizi e testimonianze ambigue, perché mai lo avrebbero fatto se non per coprire i responsabili, con i quali evidentemente, erano d'accordo? E chi mai potrebbe aver fatto da garante per un accordo così importante e tenuto così abilmente nascosto per decenni se non la Cia, la P2, e Andreotti? Comma 22: se le prove fossero state trovate la destra di Andreotti/Gelli/Cia/Nar era sicuramente colpevole, ma siccome le prove non sono state trovate, la destra nella sua versione mefistofelica descritta dalle sentenze è ancora più colpevole. Purtroppo su questo paradosso, e sulla pigrizia del ceto intellettuale italiano, che si è occupato solo distrattamente del caso, si è fermata oltre 30 anni fa la speranza di capire qualcosa di più su cosa successe in Italia nell’estate del 1980. Un'ultima annotazione: nessuno è più in carcere per la strage. Gli ex giovani dei Nar, ormai invecchiati, sono usciti tempo fa dopo una lunghissima detenzione, dopo che la magistratura romana li ha considerati sufficientemente rieducati. I due generali dei carabinieri hanno scontato tutta la pena agli arresti domiciliari, Pazienza è uscito anche lui da tempo e Gelli in carcere c'era stato solo molti anni fa, nel momento cruciale dello scandalo P2. Una sentenza che sembra a molti ingiusta, ma che comunque la si voglia vedere è sicuramente incompleta, non sta più gravando «fisicamente» sulle spalle di nessuno. L'unica che veramente ci ha rimesso è la verità.