Da Fini a Bongiorno fino a Ronchi. I senza futuro (e libertà) si riciclano
Per chi ha seguito la traiettoria di Italo Bocchino negli ultimi mesi, il suo approdo alla direzione del Secolo d’Italia non è del tutto una sorpresa. Non riconfermato in Parlamento alle elezioni del 2013, era tornato da tempo a scrivere su il Secolo , seppur con lo pseudonimo Oreste Martino, e nei suoi editoriali invocava una nuova stagione unitaria della destra sotto l’egida di Berlusconi. Entrato nel cda della Fondazione Alleanza Nazionale su proposta - pare - di Gianni Alemanno e Ignazio La Russa, l’ex colonnello finiano aveva già rivelato la sua nuova ispirazione «ecumenica» lo scorso 5 febbraio, quando aveva moderato il convegno «Centrodestra nella Terza Repubblica», organizzato a Roma dalla Fondazione Tatarella, e si era seduto al fianco dei vari Gasparri, La Russa, Casini, Alfano e Maroni, in una foto di gruppo che sembrava in realtà scattata almeno un lustro fa. Sorprendente, semmai, è che Bocchino abbia ricevuto il voto unanime di tutto il CdA della Fondazione Alleanza Nazionale. Nel quale, al di là della forte maggioranza in quota Fratelli d’Italia (La Russa, Alemanno, Meloni ecc) sono rappresentate tutte le anime di un centrodestra oggi quantomai litigioso, compresa una corrente berlusconiana (Gasparri, Matteoli, Martinelli) che più di un motivo avrebbe per detestare l’uomo che, con Fini, guidò lo strappo di Fli nel 2010. Assenti, il giorno della votazione, solo Valerio Lamorte (per motivi di salute) e il finiano di ferro Egidio Digilio. Forse non a caso. «Bocchino ci ha contattati nei giorni che hanno preceduto il CdA - racconta Gasparri - e ci ha esposto il suo progetto. Vuole rilanciare il Secolo che versa in gravi difficoltà e le sue prime dichiarazioni sul 2010 dimostrano che ha fatto mea culpa. Non aveva senso impedirgli di tentare». Che il Secolo abbia bisogno di rilancio, peraltro, è innegabile, se è vero che a causa delle perdite - un rosso di oltre un milione di euro l’anno - c’era una corrente in Fondazione che ne auspicava persino la chiusura. Invece Bocchino proverà a salvare la redazione del giornale on line composta da sedici giornalisti, magari facendo valere anche le sua precedente esperienza da editore de Il Roma . Caratteristiche che, però non sembrano convincere tutti: «Sono indignato e sbigottito per una decisione che premia, immeritatamente, una figura che ha grandemente contribuito alla deriva della politica italiana e che, nel recente passato, è stato il co-protagonista del golpe contro Silvio Berlusconi» ha tuonato Amedeo Laboccetta, vicecoordinatore campano di Forza Italia e a sua volta ex fedelissimo di Fini. Come che sia, il ritorno in campo di Bocchino - sebbene lui sottolinei di voler fare esclusivamente il giornalista - è solo uno dei tanti tra gli ex Futuro e Libertà. A partire, ovviamente, da quello di Gianfranco Fini, che il prossimo 28 giugno terrà un’assemblea a Roma, al Palazzo dei Congressi dell’Eur - per «ascoltare» i militanti di destra e insieme lanciare una serie di idee per ricostruire l’area moderata. Avrà successo l’ex leader di An? Difficile dirlo. Da un lato c’è il rancore di un mondo che ancora gli rinfaccia lo strappo del 2010, dall’altro lo smarrimento di un popolo che, in assenza di nuovi leader credibili, è pronto a rituffarsi tra le braccia dell’uomo della svolta di Fiuggi. Da Montecitorio, peraltro, raccontano che davanti all’ufficio dell’ex presidente della Camera non c’è mai stata così tanta gente in fila. Compreso qualche esponente di Fratelli d’Italia, deluso dal risultato elettorale del partito della Meloni nonostante l’inserimento del simbolo di An nel logo del partito. Credere che attorno a Fini si possa ricreare qualcosa di simile all’An che fu, però, è francamente difficile. Soprattutto perché, oltre a chi è finito in Forza Italia, in Fdi e in Ncd, sono gli stessi ex di Futuro e Libertà a non crederci più di tanto. E a organizzarsi per conto proprio. Lo sta facendo, ad esempio, Andrea Ronchi, con il quale peraltro Fini non fu tenero nel suo libro Il Ventennio , scrivendo che grazie al successo del Pdl nel 2008, fece il ministro «perfino Andrea Ronchi». L’ex titolare delle Politiche comunitarie preferisce guardare avanti e, la settimana scorso, ha lanciato a Roma la sua nuova associazione «Insieme per l’Italia». Anche per lui mea culpa sul passato e riconoscimento di Berlusconi come punto di riferimento del centrodestra. Giulia Bongiorno, invece, ha formalizzato ieri la sua adesione a «Italia Unica» di Corrado Passera. Fabio Granata ha già da tempo trasferito le sue insegne sotto i verdi di Green Italia; Benedetto Della Vedova è l’unico sopravvisuto in Parlamento nella sparuta pattuglia montiana ed è sottosegretario agli Esteri; Antonio Buonfiglio, dopo aver partecipato all’ormai defunto Movimento per Alleanza Nazionale, si dedica più che altro ai procedimenti giudiziari che ha avviato per contestare la legittimità della Fondazione An. Sarebbe pronto a tornare al fianco dell’ex leader invece Roberto Menia, a sua volta transitato nel Movimento per Alleanza Nazionale lo scorso autunno, e avrebbero espresso simpatie per il progetto finiano anche Adolfo Urso e Fabrizio Tatarella. Infine quelli che preferiscono rimanere «ex». Come Claudio Barbaro, presidente Asi, si definisce «spettatore disinteressato» del quadro politico. E chi, proprio come Bocchino, ha deciso di tornare all’antica passione giornalistica. È Flavia Perina, che il Secolo d’Italia l’ha diretto dal 2000 al 2011. E che ora è condirettrice all’ AdnKronos . Lei, a differenza di tanti, della politica non sembra avere nostalgia. E, al limite, preferisce raccontarla.