Burocrazia, tasse, leggi inutili Viaggio nella paralisi italiana
Scartoffie, norme folli, una montagna di moduli e modelli da compilare per non incorrere in sanzioni, anche pesanti, che magari rischiano di farti chiudere o di prosciugarti la pensione o lo stipendio. La burocrazia non è solo un fastidio, è un macigno che impedisce all’Italia di correre, o anche solo di camminare, un handicap che ci azzoppa e che costa 31miliardi di euro alle imprese, mentre gli altri paesi crescono e noi siamo lì, inchiodati a qualche sportello. Magari a pagare una tassa, visto che abbiamo anche questo record: addirittura un centinaio tra addizionali, imposte, ritenute e tributi, Inps, Inail, Iva, Tosa, Cimp, Ires, Irap, Irpef. E poi la tassa sull’ombra, quella sui passi carrai, la tassa sui rifiuti, la tassa sulle bonifiche… E molte altre, come racconta La Repubblica dei mandarini (Marsilio, pagine 208, euro 14, da oggi in libreria) scritto da Paolo Bracalini, inviato del Giornale , con la prefazione di Edward Luttwak. Un’inchiesta sul mastodontico intreccio della burocrazia italiana, con testimonianze, documenti inediti, cifre e resoconti di una follia tutta nostrana. «Il groviglio di leggi statali, regionali, provinciali, comunali - si legge nel libro - è così intricato che la giungla normativa italiana non ha paragoni in Europa e contribuisce all’indebolimento dei diritti dei cittadini. Mentre i "mandarini", i burocrati, comandano nell’ombra, con un potere enorme: nei ministeri, nella Ragioneria di Stato, nelle segrete stanze del Tesoro e del Quirinale, ma anche nei Tar che paralizzano il Paese». Un Paese dove i cittadini sono sudditi, come si vede anche nella (mala)giustizia italiana indagata dal Tempo : processi con tempi indegni, errori giudiziari, innocenti in carcere o in attesa di risarcimento per ingiusta detenzione (nel libro si racconta anche di chi fa ricorso perché il risarcimento per essere stato in galera da innocente non arriva!), carceri da terzo mondo. Tutti sudditi della Repubblica dei mandarini, delle tasse e della burocrazia. Ecco alcune delle tantissime storie raccontate nel libro di Bracalini. QUANTA CARBONARA? LO DECIDE IL FISCO Quanti spaghetti vanno portati in tavola per essere a posto con la legge? Ottanta, cento grammi massimo, non uno di più. I tentacoli della burocrazia italiana si allungano fino al piatto. Sembra incredibile, ma il Fisco può arrivare a chiedere a un ristoratore quanta pasta offre ai suoi clienti e, se sgarra, scatta la sanzione. La burocrazia è servita, ed è un piatto indigesto. È successo a un ristoratore di Roma. «Hanno fatto il controllo, attraverso le fatture, di quanta pasta ha comprato il mio locale, e l’hanno confrontata con la quantità prevista dalla burocrazia: 80-100 grammi per piatto. In base al peso degli spaghetti stabilito per legge io avrei dovuto vendere, mettiamo, 1.000 piatti di pasta da 100 grammi. Ma siccome dalle fatture risulta che ne ho venduti 500, secondo loro ne avrei venduti 500 in nero. E invece io ho venduto 500 piatti con 200 grammi di pasta! Non esiste che faccia piatti con un etto di spaghetti soltanto, i miei clienti me li rimandano indietro! Siamo un ristorante tradizionale, serviamo porzioni abbondanti. Ma chi lo deve decidere, poi, quanta pasta mettere nei piatti, io o il burocrate che sta in ufficio? Stessa cosa con l’abbacchio. Loro calcolano nel peso complessivo tutto, testa e ossa. E se pesa X presumono, sempre in base alle loro tabelle burocratiche, che devi aver fatturato un numero Y di piatti di abbacchio; se ne fatturi meno hai fatto nero. Ma io mica servo la testa dell’abbacchio o le zampe! Roba da matti. Ma sa com’è andata a finire? Mi hanno consigliato di pagare una sanzione per non avere problemi e io ho dovuto pure pagare!». Così intanto il fisco ingrassa, grazie alla complicazione burocratica che però, nel frattempo, stritola le imprese e spesso le fa morire. Storie di ordinaria follia in questo paese. IL COMUNE DI ROMA:«SUA MADRE E’ RISORTA?» Come il certificato richiesto dal Comune di Roma, che il signor P.P. ha dovuto sottoscrivere. L’ufficio dello stato civile di Roma certifica che sua madre è morta nel 2008 (anzi, «duemilaotto»), ma chiede al figlio una dichiarazione firmata, con data e «sotto la mia responsabilità», attestante che nel frattempo le informazioni contenute nel documento non abbiano subito variazioni. «Insomma, mi hanno chiesto di certificare che mia madre non è risorta! », ci racconta ancora allibito. Come poteva cambiare residenza, o data di nascita, o coniuge, la madre deceduta nel 2008? Renzi ha promesso che userà la ruspa per demolire la burocrazia italiana. Ma qui serve un carro armato. PREMI A CHI TARTASSA MEGLIO Equitalia ha ottomila dipendenti con stipendi per 17,5 milioni di euro (dato dal bilancio Equitalia 2012). E poi i premi per chi riscuote più cartelle esattoriali. In un documento di Equitalia Marche (Sistema Incentivante 2008) si parla di «business» (sic) con un «montepremi» (sic) di 314 mila euro da ripartire fra i 170 dipendenti più zelanti nella riscossione. Il business delle cartelle esattoriali… E nel libro si racconta a quanto ammontano i premi per i funzionari dell’Agenzia delle entrate, e quante volte fanno accertamenti sbagliati... L’AQUILA, SOMMERSIDALLA BUROCRAZIA La burocrazia ha iniziato a rendere la vita più difficile ai cittadini dell’Aquila dai primi giorni successivi al terremoto. Tra le regole che gli imprenditori dovevano rispettare c’era anche quella di autocertificarsi come «sfollati» all’uscita del casello autostradale dell’Aquila per evitare di dover pagare il pedaggio. Poi è arrivata la necessità di ricostruire la zona colpita dal sisma e perciò lo Stato ha stabilito alcune regole che hanno causato lentezze e ritardi, soprattutto nelle zone centrali dell’Aquila. Un esempio è la procedura di autorizzazione per la ricostruzione delle zone archeologiche che ha costretto gli imprenditori a fare delle richieste a uffici diversi per ottenere permessi simili. «Le competenze si sovrappongono tra Regione, Provincia, Comune e Sovraintendenza» spiega Ezio Rainaldi, ingegnere che si occupa di ricostruzione per la Confindustria dell’Aquila, «questo significa dover aspettare il nulla osta da ognuno di questi enti», ossia attendere molti mesi o alcuni anni per iniziare i lavori di ricostruzione della zona più antica dell’Aquila. Anche per questo motivo, il centro del capoluogo abruzzese è ancora in gran parte chiuso. Anche per altre costruzioni è necessario aspettare molto tempo, a causa di una pubblica amministrazione che ha tempi troppo lunghi per le aziende e i cittadini. Un esempio è il «nulla osta» dal Genio Civile sul rispetto delle norme antisismiche di una nuova costruzione o di un edificio da restaurare. Nel capoluogo abruzzese ci sono migliaia di richieste che non sono state ancora evase, perciò gli imprenditori devono aspettare alcuni mesi per ottenere il timbro che certifica l’avvenuto deposito dei calcoli sulla tenuta antisismica. «Diverse aziende stanno fallendo perché hanno già pagato migliaia di euro per la rimozione delle macerie» spiega Modesto Lolli, un imprenditore dell’Aquila che si occupa di arredo urbano e prefabbricati, «il problema è che non è possibile costruire fino a quando non arriva l’autorizzazione del Genio Civile» e così non possono fatturare.