Caso kazako. Alfano: nessuno nel governo sapeva, fatto grave
«Sono qui per riferire di una vicenda della quale non ero stato informato, della quale nessun membro del governo era stato informato». Inizia con queste parole l’informativa in Senato del ministro dell’Interno Angelino Alfano sull’espulsione di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. Il vicepremier si presenta in Parlamento con in mano la relazione sull’inchiesta interna effettuata dal capo della Polizia Alessandro Pansa. «Insieme al premier Letta - spiega ai senatori - prima che partisse per Londra, abbiamo valutato che la strada migliore per rendere pubblico l’esito dell’inchiesta fosse il Parlamento». La tesi che emerge dalla relazione è chiara: il ministro Alfano non aveva «nessuna informazione» sull’espulsione della moglie del dissidente kazako e di sua figlia. Di più: «In nessuna fase della vicenda - si legge nella relazione del capo della Polizia secondo quanto riferiscono fonti del Viminale - i funzionari italiani hanno avuto informazione alcuna che Ablyazov fosse un rifugiato politico e non un pericoloso latitante». Nel corso dell’intera istruttoria e dalla consultazione di tutta la documentazione fornita, poi, riferisce il ministro dell’Interno, «non risulta» che Alma Shalabayeva o i suoi difensori abbiano mai presentato o annunciato domanda di asilo, pur avendone la possibilità, né «è risultato che la cittadina kazaka abbia mostrato o affermato di possedere un permesso di soggiorno rilasciato da paesi Schengen», cosa che hanno fatto i difensori solo in sede di ricorso contro il provvedimento. Alfano sottolinea in Parlamento come risultino «infondate» le affermazioni secondo le quali il cognato di Shabalayeva sarebbe stato percosso, riportando ferite durante l’irruzione nella villa di Casal Palocco. Quella di Alma Shalabayeva e di sua figlia è stata una espulsione «dalla chiara legittimità», sottolinea il vicepremier ma, ammette, «che ha evidenziato caratteri non ordinari» e che richiederà ulteriori verifiche. Arrivando al capitolo «provvedimenti» il titolare del Viminale scandisce che il Governo è al lavoro «perché ciò non succeda mai più». Ecco perché ha accettato «con amarezza» le dimissioni del suo capo di Gabinetto Giuseppe Procaccini, e chiesto «l’avvicendamento» del capo dipartimento di pubblica sicurezza, il prefetto Alessandro Valeri, e la «riorganizzazione complessiva dei vertici della pubblica sicurezza a cominciare dalla direzione centrale dell’immigrazione». Il Governo, dal canto suo, comunica una nota di palazzo Chigi, «continuerà ad assicurare il massimo impegno nel seguire con attenzione ogni profilo di protezione internazionale e di salvaguardia dei diritti umani connesso alla vicenda», mentre il Ministro degli Affari esteri Emma Bonino convocherà nelle prossime ore l’ambasciatore del Kazakhstan «per ricevere adeguati chiarimenti». Quanto all’inchiesta interna, conferma palazzo Chigi, conferma «il mancato coinvolgimento dei vertici del Governo, la correttezza sul piano giuridico del procedimento di espulsione», ma anche «l'esistenza di criticità e anomalie». Criticità e anomalie che non sfuggono ai partiti. Se il Pdl, infatti, fa quadrato intorno al vicepremier, Pd e Scelta civica non fanno sconti al Governo. I democratici si riuniranno domani al Senato, alla presenza del segretario Guglielmo Epifani, per decidere la posizione che il gruppo assumerà sulla mozione di sfiducia contro il ministro dell’Interno presentata da Sel e Movimento 5 stelle. «Uno Schettino qualunque esibito al mondo è già fin troppo. Alfano dimettiti», è il nuovo slogan grillino.