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Grasso contro Travaglio: «Nessuna debolezza su Schifani e Andreotti»

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Lo scontro tra Marco Travaglio e il presidente del Senato si trasforma in una rilettura dell'epopea dell'antimafia, dall'epoca di Gian Carlo Caselli a quella di Pietro Grasso. Due gestioni diverse,...

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Lo scontro tra Marco Travaglio e il presidente del Senato si trasforma in una rilettura dell'epopea dell'antimafia, dall'epoca di Gian Carlo Caselli a quella di Pietro Grasso. Due gestioni diverse, probabilmente all'antitesi, con le risposte della seconda carica dello Stato che probabilmente non soddisferanno chi continua a rimanere scettico sul suo comportamento a capo della Procura palermitana. Piazza pulita parte con Corrado Formigli che mostra le scena della telefonata di Grasso a Servizio Pubblico e spiega i passaggi che hanno portato il presidente del Senato nel suo studio. Al tempo stesso, Formigli non fa nulla per nascondere gli attriti con il collega: «Travaglio non ha accettato il nostro invito, ma passiamo alle cose serie». Grasso, invece, esordisce con i «numeri» della sua carriera da procuratore capo a Palermo, parla dei 1.179 arresti e degli oltre 300 ergastoli ottenuti. Poi si passa alle accuse di Travaglio. La prima, quella di aver archiviato le indagini sull'ex presidente del Senato Schifani una volta arrivato a Palermo: «È una realtà estrapolata dal contesto - replica Grasso - anche Caselli, prima di me, aveva archiviato delle indagini su Schifani, così come nel 2012 il mio successore». La seconda accusa riguarda la mancata firma sulla richiesta d'appello per il processo Andreotti, che porterà all'incriminazione, confermata dalla Cassazione, dell'ex primo ministro per i rapporti con la mafia fino al 1980, coperti però da prescrizione. «Io non firmai quella richiesta - spiega Grasso - perché ero stato testimone in quel processo, e se l'avessi fatto avrei creato un'incompatibilità che non mi avrebbe permesso di essere ascoltato in appello». La questione Andreotti serve comunque per scoperchiare i rapporti non proprio idialliaci tra Grasso e i giudici «caselliani» quando il primo arriva a Palermo. Il presidente del Senato prova a confinare il tutto all'interno di una «normale dialettica nei metodi d'indagine», ma poi cita Caponnetto quando spiega che non bisogna «trasformare i processi in una gogna pubblica». Un modo per accusare la «giustizia-spettacolo» di Caselli. E ulteriori contrasti spuntano sulla gestione del pentito Giuffré, che Grasso «nasconde» per tre mesi ai suoi procuratori «per la paura di una fuga di notizie e il sospetto, poi confermato, della presenza di talpe in procura». Ma il punto massimo dello scontro arriva quando si ricorda la nomina a procuratore nazionale Antimafia. L'unico avversario è ancora Caselli, ma tre leggi del centrodestra, poi giudicate incostituzionali, eliminano l'avversario dalla strada di Grasso che così ottiene la carica. Grasso prima sostiene di «non aver mai chiesto nulla a nessuno, l'accusa che mi brucia di più è quella di aver avuto inciuci col potere. Travaglio ha sporcato il mio ruolo istituzionale».

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