Ci ha provato Pier Luigi Bersani ad alzare il muro difensivo.
Quel«li sbraniamo» lanciato all'indirizzo di Lega e Pdl, e un po' anche di Mario Monti, non è servito. Anzi, è stata l'occasione per rilanciare gli attacchi degli avversari. Che ieri hanno fatto a gara per sottolineare come, dietro una reazione così scomposta, si nasconda senza dubbio la paura per ciò che potrebbe emergere. «Bersani vuole "sbranare", verbo di inusitata violenza, chi vuole la verità su Mps - ha attaccato Ignazio La Russa -. È la dimostrazione che l'inchiesta ha toccato un nervo scoperto sul rapporto tra la banca rossa e i vertici della sinistra». Sulla stessa lunghezza d'onda Fabrizio Cicchitto: «Quello di Bersani sembra il ruggito del topo. Comunque è evidente che la sua intimidazione è rivolta innanzitutto ai magistrati e a Monti». Mentre Maurizio Gasparri avverte il candidato premier del centrosinistra: «Non fa paura a nessuno. Ma chi deve sbranare? Ma cosa urla? Si vergogni del modo con cui gli uomini messi nei decenni dal suo partito alla guida del Monte dei Paschi hanno devastato quella banca». Al coro si unisce, ovviamente, Antonio Ingroia. Per la sua Rivoluzione Civile c'è la possibilità di erodere ulteriori consensi ai Democratici, meglio affondare il colpo. «Credo che lo scandalo di Mps - attacca - confermi l'intreccio perverso tra politica e affari. Uno dei nostri principi politici è proprio quello di cacciare via i partiti dai Cda delle banche e degli enti pubblici e privati». E se Francesco Storace assicura che, qualora eletto, tenterà di «sfrattare» il Monte dalla Regione Lazio, Roberto Maroni si scaglia contro la decisione di dare il via libera ai Monti-bond. «Se la società ha fatto qualcosa in violazione della legge - sottolinea - non può ricevere soldi pubblici ed è una cosa così semplice e banale che chiunque, persino il presidente del Consiglio, può arrivarci». Insomma, al momento il Pd resta sul banco degli imputati, con tutto il resto del panorama politico nei panni della pubblica accusa (ieri anche Pier Ferdinando Casini ha ribadito che i Democratici «c'entrano e lo sanno tutti»). Un fatto, per Anna Finocchiaro, tutt'altro che casuale. «La situazione mi sembra paradossale, ma è sconcertante - spiega intervistata dal Messaggero -. Tutti si sono uniti contro il Pd. C'è un tentativo di non farci vincere, vedo risorgere la vecchia convention ad exludendum. Il che mi preoccupa visto il senso di responsabilità dimostrato dal Pd nei confronti del Paese». «Non parlo di complotto - chiarisce - parlo di una diffidenza diffusa e di interessi elettoralistici che trovano comodo scaricare sul Pd attacchi convergenti». In ogni caso, anche se la «minaccia» di Bersani non sembra aver sortito effetti, il suo partito proverà a passare al contrattacco domani quando il ministro dell'Economia Vittorio Grilli riferirà, davanti alle commissioni Finanze di Camera e Senato in seduta congiunta, sul caso Mps. La linea l'ha già dettata ieri sera Bersani in un'intervista al Tg1. «I temi sono due - ha spiegato -: da un lato le Fondazioni non devono avere un peso prevalente nelle banche, dall'altro è necessario porre un argine ai derivati. Su queste cose noi abbiamo sempre fatto una battaglia in alternativa alla destra. Basta guardare cosa faceva Vincenzo Visco e cosa faceva faceva Tremonti». Il riferimento all'ex ministro dell'Economia è tutt'altro che casuale. Infatti è praticamente certo che il Pd, oltre a ricordare la propria battaglia solitaria contro i «derivati», utilizzerà l'appuntamento di domani per evocare sia la vicenda del contratto sottoscritto a suo tempo da Tremonti con Morgan Stanley. Ma anche i 500 milioni di Tremonti-Bond alla Banca popolare di Milano e a quella di Verona. Istituti «leghisti». Nel frattempo, Bersani ribadisce, che è necessario affidare ai vertici di Monte dei Paschi, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, dei «poteri commisariali». Un richiesta che resta sul tavolo anche se l'impressione è che i prossimi giorni serviranno solo per rendere ancora più infuocato lo scontro politico.Nic. Imb.