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Fabio Riva dopo due mesi si consegna a Scotland Yard

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L'industrialenon è stato tratto in arresto ma si è recato volontariamente nella sede della polizia della capitale britannica, secondo modalità concordate con le autorità inglesi nelle scorse settimane. I suoi legali hanno subito chiesto «in attesa della eseguibilità del mandato» di arresto europeo, che l'indagato potesse rimanere in libertà vigilata a Londra, e il giudice ha accolto l'istanza. Il procedimento di estradizione avrà una durata ipotizzabile tra i quaranta e i sessanta giorni. La latitanza di Fabio Riva era iniziata il 26 novembre scorso: il manager del gruppo aveva ricevuto un'ordinanza di custodia cautelare del gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco, nell'ambito dell'inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici dell'Ilva jonica e dal 10 dicembre scorso pendeva nei suoi confronti un mandato di arresto europeo. A Fabio Riva (figlio di Emilio Riva, ai domiciliari dal 26 luglio 2012 sempre nell'ambito dell'inchiesta sul siderurgico) sono stati contestati i reati di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, emissione di sostanze nocive e avvelenamento da diossina di sostanze alimentari. Dieci giorni dopo l'emissione del provvedimento cautelare, Fabio Riva, tramite gli avvocati, aveva fatto arrivare alla Procura di Taranto una lettera, nella quale spiegava di aver avuto notizia dell'ordinanza mentre era a Londra e allo stesso tempo si metteva a disposizione delle autorità inglesi. Da qui la decisione ieri di consegnarsi a Scotland Yard. Il figlio del magnate italiano dell'acciaio è coinvolto nella seconda indagine riguardante il disastro ambientale a Taranto, l'inchiesta denominata «Ambiente svenduto»: i magistrati, attraverso una notevole mole di atti investigativi, sono intenzionati a fare luce sui rapporti intessuti dai dirigenti della società negli anni e sull'attività rivolta a «ridimensionare problematiche anche gravi in materia ambientale» sia a consentire allo stabilimento «la prosecuzione dell'attività produttiva senza il rispetto, anzi in totale violazione e spregio» delle norme di tutela ambientale. Questa ipotesi di reato, secondo gli inquirenti, si sarebbe concretizzata in associazione tra Fabio Riva, il padre Emilio, il fratello Nicola, Luigi Capogrosso (ex direttore dello stabilimento di Taranto) e Girolamo Archinà (ex responsabile delle relazioni esterne). Le attività di questo sodalizio, per i magistrati che al riguardo hanno redatto nell'ordinanza oltre 500 pagine, erano soprattutto focalizzate nei confronti della Regione Puglia: per il giudice Patrizia Todisco l'obiettivo era dissuadere i dirigenti regionali dall'imporre misure urgenti e indispensabili per ridurre le emissioni inquinanti, consentendo all'azienda di continuare la produzione grazie ad una serie di escamotage che consentivano all'Ilva di «non risultare inoperosa» di fronte all'opinione pubblica. Negli atti sono riportate telefonate, mail e «numerosi e costanti contatti» tra l'ex capo delle relazioni istituzionali dell'Ilva, Girolamo Archinà, e il governatore Nichi Vendola.

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