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Il rigore ad oltranza non convince più gli istituti internazionali

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Scusateci,ci siamo sbagliati. Dopo numerosi articoli a favore della politica rigorista di Monti e della Merkel, si moltiplicano le voci autorevoli che rimettono in discussione quella che sembrava una strada obbligata. L'articolo del Financial Times è l'ultimo di una serie di interventi nei quali si prendono le distanze dalla politica del rigore a oltranza. Il Ft critica Monti per aver promesso riforme ma aumentato le tasse e lo stesso giorno la Cdu del cancelliere Angela Merkel, tenace sostenitrice del primato dei numeri sulla crescita, è battuta in Sassonia, perdendo la maggioranza a favore di Spd e Verdi. È il segno che il vento sta cambiando anche in Germania. L'aria nuova viene dagli Stati Uniti. Obama è il più tenace assertore che equità e crescita devono venire prima del rigore. Questo è il senso della manovra varata in extremis dal Congresso, evitando il «precipizio fiscale» del 2013. Washington sta dimostrando che prima bisogna colpire le aree di opulenza e di privilegio e invertire la tendenza alla dilatazione delle diseguaglianze sociali. Sempre a Washington, il Fondo Monetario internazionale ha fatto autocritica. Di cosa si scusa? Delle politiche economiche di austerità che, in collaborazione con la Bce e le autorità continentali, sono state imposte ai Paesi in crisi (tra cui ovviamente l'Italia). Il direttore generale Christine Lagarde, in un report dello scorso 11 gennaio che è passato sotto traccia, ammette che il Fmi ha completamente sbagliato le sue previsioni. Il capo economista dell'istituto, Olivier Blanchard, ha ammesso che sono state sbagliate «le stime sugli effetti negativi delle politiche di rigore chieste agli Stati con i conti pubblici non a posto; le politiche di rigore che abbiamo chiesto hanno prodotto la più grave crisi recessiva che si ricordi». Come si spiega questo perseverare nell'errore, a senso unico? Secondo l'auto-diagnosi del Fmi, sono stati «sottostimati gli effetti moltiplicatori dell'austerity come freno alla crescita». Questi effetti sono tanto più pesanti se «l'austerity non è uno shock una tantum», bensì una terapia protratta su più anni. E ora dobbiamo rimediare». Il documento ha il titolo esplicito di «Errori Previsionali di Crescita e Moltiplicatori Fiscali». La ricerca fa seguito a uno studio già apparso nel World Economic Outlook dell'ottobre scorso, che indicava come i piani di aggiustamento fiscale nella zona euro avevano avuto un impatto negativo sulla crescita nettamente superiore a quanto originariamente stimato. Non è tutto. Il premio Nobel Paul Krugman, ha scritto più volte sul New York Times che «l'austerità non funziona: a causa di una politica economica tutta sacrifici e niente crescita, l'Europa è sanguinante, salassata inutilmente come i malati nel Medioevo, curati con medicine che li facevano ammalare ancora di più». Un altro premio Nobel, Joseph Stiglitz, nel convegno «Oltre l'austerità», ha ribadito che le politiche di austerità non sono sufficienti a condurre l'Europa fuori dall'emergenza, perché l'austerità è un fenomeno che si autoalimenta e che deprime l'economia. Ad ulteriore supporto, Ben Bernanke, presidente della Federal Reserve, ha tenuto quattro lezioni all'Università George Washington sul tema «La Federal Reserve e il suo ruolo nell'economia di oggi». Ha rimarcato che a differenza della Bce, il ruolo delle principali banche centrali del mondo è non solo nel garantire la stabilità dei prezzi ma anche nel garantire livelli di crescita e di occupazione stabili. L.D.P.

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