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Anche Bersani rilancia alla roulette dell'Imu

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Il leader Pd: «Via per chi paga 400-500 euro» E ai montiani: «Governa chi prende più voti»

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Illavoro, la crescita, i giovani, le donne, gli immigrati, le riforme istituzionali, l'Unione Europea. Tutti argomenti interessanti, buoni per riempire ore di dibattiti televisivi. Ma la campagna elettorale vera, quella su cui i contendenti punteranno per conquistare la maggioranza degli italiani, ruoterà attorno ad un solo tema. Il solito: il taglio delle tasse a partire da quella più odiata. L'Imu. Mario Monti, Silvio Berlusconi, Pier Luigi Bersani si sfidano su questo terreno ormai da giorni. E ieri, ospite di Porta a Porta, il segretario del Pd ha rilanciato. Non una semplice «rimodulazione» dell'imposta, ma «eliminarla per chi sta pagando fino a 400-500 euro». Un intervento che, secondo Bersani, potrebbe essere coperto con una patrimoniale sugli immobili «fino a 1,5 milioni catastali che significa 3 milioni sul mercato». Sarà questa una delle proposte che il leader Pd presenterà domani annunciando il proprio programma di governo assieme agli alleati (compreso il socialista Riccardo Nencini con cui, dopo la polemica sulle liste, sembra essere tornato il sereno). Contestualmente all'idea di ritoccare le aliquote Irpef. «Io penso - spiega Bersani - a una riduzione dell'aliquota più bassa, e a una relativa correzione di quella più alta. Noi alle aliquote francesi non ci pensiamo proprio». Insomma, nessuna campagna contro i super-ricchi che devono restare in Italia e pagare le tasse. «Non ho mai parlato di patrimoniale in senso stretto - aggiunge -. Io sto parlando di tassazione sugli immobili, credo che possiamo fare un'operazione redistributiva, non di aggravio nel complesso. Ci potrà essere un contributo di solidarietà, ma per me il punto è come far emergere la ricchezza. Vorrei delle misure incisive per far emergere la ricchezza, non solo lotta all'evasione». Fin qui le promesse. Compresa quella di «allentare la morsa delle politiche di austerità per gli investimenti». Ma questi sono anche i giorni in cui si discute della possibilità di un accordo, post-elettorale, tra i Democratici e i «moderati» guidati da Mario Monti. Ed è proprio al Professore che Bersani dedica gran parte della propria attenzione. E delle sue critiche. Come quella sulla decisione di «salire» in campo: «Io ragiono pensando prima di tutto all'Italia visto che siano tutti transeunti, nessuno di noi è Mandrake. Per l'Italia non mi è sembrata l'operazione più felice perché pensavo che Monti potesse essere molto utile al Paese in funzione di terzietà». Anche per questo, nella «denegata ipotesi» che il Pd non avesse la maggioranza in Senato, governerà comunque chi prenderà più voti. «Non mi piace l'idea che comincia a correre di nuovo - avverte il leader democratico - che il business per l'Italia sarebbe azzoppare la vittoria di qualcuno per essere determinante, secondo lo schema logico che deve governare chi ha preso meno voti. I voti ci vogliono». Tradotto: se Monti spera di tornare a Palazzo Chigi puntando su un «pareggio» a Palazzo Madama, si sbaglia di grosso. Comunque, prosegue, «c'è un presidente della Repubblica che guiderà il traffico». Parole che mostrano la convinzione del segretario del Pd sul fatto che Giorgio Napolitano, stavolta, non farà scherzi. In ogni caso il progetto di stringere un'alleanza dopo il voto non tramonta. Anzi, quando gli si fa notare che secondo un sondaggio il 40% degli elettori democratici preferirebbero Antonio Ingroia al Professore, risponde: «Può esserci un riflesso di ammaccatura su Monti in questo momento. Adesso c'è la possibilità di portare il tema del cambiamento nel governo. E credo che portare truppe nell'angolo che sono in un atteggiamento di rifiuto non e' positivo». Porta chiusa all'ex pm e al suo movimento, quindi, e nessun dubbio sulla fedeltà di Nichi Vendola: «Sono piuttosto sicuro che non mi tradirà. C'è una clausola che dice che in caso di dissensi c'è una cessione di sovranità e si decide a maggiorana dei gruppi. Non ci sarà una riedizione di quanto accaduto nel 2006. Chi ci guarda con occhiali vecchi non tiene conto dell'enorme cambiamento che c'è stato: oltretutto Vendola dice sempre e ripete che io ho vinto le primarie. E questo è fondamentale e diverso dal passato». Poi altre due stoccate a Monti. La prima sul ruolo dei sindacati: «È un giudizio un po' dall'alto. Perché dire ai sindacati che cosa interessa ai lavoratori? Faccio un po' fatica a pensare a qualcuno che lo sappia meglio di loro. A me non risulta che siano di intralcio per le riforme». La seconda sugli esodati: «Mi dispiace che non ci sia questa parola nell'agenda Monti». Insomma, non sembra esserci molto feeling tra il Professore il Pd. Sarà forse per questo che, quando gli chiedono se l'ex premier possa essere il prossimo Capo dello Stato, Bersani risponde: «Prendo atto della risposta che ha dato Monti a questa domanda. Ha detto: "lo vedo meno probabile"».

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