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«Il dialogo tra forze che si considerano europeiste e ostative al populismo, a Berlusconi e alla Lega, credo che sia possibile e necessario».

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Dopoaver assicurato ai leader di mezzo mondo che il Cavaliere non ha alcuna possibilità di vincere le elezioni, il leader del Pd, forse allarmato dai sondaggi che danno il Pdl in lieve ma costante recupero e il centrosinistra in affanno, prova a riproporre lo schema del «tutti uniti contro il Cav», leit motiv di ogni campagna elettorale nella seconda Repubblica. Ma deve incassare il fermo rifiuto di Antonio Ingroia, che dice di no a qualsiasi patto di desistenza. Bersani, preso atto dell'indisponibilità del leader di Rivoluzione Civile, prova allora a rivolgersi direttamente ai suoi elettori: «I voti sono tutti utili - spiega - alcuni servono a segnalare una protesta o esprimere una adesione. Poi ci sono voti utili per battere la destra e vincere le elezioni. Qua vince chi arriva primo». Quello che non dice il segretario, viene chiarito dalla senatrice Anna Finocchiaro: «È evidente che la Lombardia è una Regione strategica per il Paese. Mi chiedo se non sia possibile tenere aperto uno spazio di riflessione responsabile sul fatto che in Lombardia la presentazione della lista di Ingroia non solo alla Camera, ma anche al Senato, dove quasi certamente non avrebbe il quorum, potrebbe consegnare i seggi decisivi a Berlusconi e alla Lega, con tutto ciò che questo comporterebbe per l'Italia». Il fronte lombardo è di certo quello più caldo per i democratici. Non a caso Bersani, dopo aver inaugurato la sua campagna elettorale con i «nativi» Pd a Roma, riparte proprio da Milano e Brescia. «Possiamo farcela e vinceremo - promette il segretario - anche perché è ora di archiviare un ventennio che ha sempre fatto rima con Maroni, Formigoni e Berlusconi». Ma il tema di fondo resta sempre il duello con Ingroia a chi è più capace di contrastare il berlusconismo: «Posizioni di radicalizzazione e di riduzione del tema della legalità su posizioni forzose non favoriscono il cambiamento», spiega attaccando l'ex pm. E aggiunge che da parte del leader di Rivoluzione civile «un gesto di considerazione della situazione sarebbe stato apprezzato. Non c'è bisogno di patti, se ciascuno si prende la propria responsabilità, il mio apprezzamento non manca di certo. Non c'è mai stata un'ipotesi di desistenza, siamo dei riformisti». «Vorrei dire a Ingroia "attenzione" - conclude - perché sono i progressisti e il Pd che possono costruire un'alternativa alla destra». E la rincorsa agli elettori dell'ex pm parte anche quando si parla di programma. Se Ingroia invoca un impegno sul conflitto di interessi, il segretario del Pd non si fa pregare: «Se il centrosinistra andrà al governo farà subito una legge adeguata - garantisce - che sarà composta da una norma più forte sull'incompatibilità e un meccanismo di buona concorrenza i tutti i settori economici a cominciare dalle comunicazioni». Ma si è pur sempre nel ricco nord, e allora è meglio sfumare i toni. Bersani quindi affronta con cautela i temi di giustizia, federalismo e tasse. Esclude la separazione delle carriere per i magistrati, ma auspica «meccanismi per mettere una garanzia che non sia così semplice e a volte controproducente passare da magistratura inquirente a giudicante». Definisce solo demagogia la proposta della Lega di mantenere in loco il 75% delle tasse, ma apre a «un federalismo fiscale serio, un regionalismo delle autonomie che non sia centralista». Dice, infine che la patrimoniale sugli immobili c'è già, è l'Imu, e qualsiasi altro tipo di tassa sulla ricchezza non è possibile «perché noi non sappiamo dove sono i ricchi, il problema, semmai, e fare emergere la ricchezza laddove c'è». Il resto sono ancora attacchi alla Lega, che «si è messa con il Pdl solo per salvare qualche poltrona», e a Grillo che «vuole eliminare i sindacati e parte dal qualunquismo per arrivare a posizioni fascistoidi». Per il probabile futuro alleato Mario Monti solo qualche «buffetto» amichevole: «Il premier non mi ha deluso per la sua candidatura, è solo che non me lo aspettavo. Ha cambiato un po' idea su varie cose che prima erano impossibili e oggi sono possibili». «In ogni caso - conclude - ora è difficile immaginarlo al Quirinale, visto che ha perso la sua terzietà».

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