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«Anche quest'anno sarà un anno difficile» destinato a chiudersi con un calo del Pil dell'1,1%.

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Tuttodipende da quello che il prossimo governo farà in termini di misure di stimolo alla crescita ma anche dall'andamento dell'economia dell'Eurozona. Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, all'Università di Firenze illustra le stime di via Nazionale contenute nel bollettino economico. Le sue parole potrebbero essere benissimo un'agenda per i partiti che continuano a insistere sul taglio alla pressione fiscale, con grande demagogia, ma hanno dimenticato il problema della crescita. Visco mette in chiaro che la riduzione del rapporto tra il debito e il pil, imposto dall'Eurozona, pari a un ventesimo dell'eccesso rispetto alla soglia del 60%, «non non impone un orientamento permanentemente restrittivo alla politica di bilancio». Il che significa che ci sono margini per una politica espansiva pur nel rispetto degli impegni europei. Tale regola - ha aggiunto Visco - non impone obiettivi di bilancio più ambiziosi del pareggio strutturale (ossia al netto degli effetti del ciclo economico e di misure transitorie). Il Governatore calcola che per l'Italia, «una crescita annua del Pil nominale lievemente inferiore al 3% sarebbe sufficiente a garantire la riduzione del rapporto tra debito e prodotto richiesta». Visco afferma che «l'equilibrio dei conti pubblici è la precondizione per il successo: l'incertezza delle condizioni sui mercati finanziari legata alle tensioni sui debiti sovrani riduce la fiducia, disincentiva l'investimento e l'innovazione». Pertanto «al di là della congiuntura sfavorevole, il nostro Paese deve saper trovare le motivazioni e gli incentivi per affrontare con decisione il problema della crescita». Per Visco servono guadagni di competitività che «possono essere solo il risultato di un impegnativo ma imprescindibile disegno organico di riforma». E mentre Visco parla, un gruppo di studenti interrompe il suo intervento per una mezz'ora, lanciando slogan e mostrando lo striscione «Voi la chiamate crescita, noi sfruttamento. Fuori Bankitalia». L'aula viene sgomberata Poi Visco riprende a parlare e commenta: «Dovrebbero leggersi la relazione». Il Governatore ricorda che nel quadro macroeconomico presentato nel Bollettino economico della Banca d'Italia, «il Pil dell'Italia sarebbe sceso di poco più del 2% nel 2012. Nell'estate del 2011, prima che la crisi dei debiti sovrani si estendesse al nostro Paese, si prevedeva una crescita di circa un punto». Cosa è accaduto invece? Visco indica un mix di fattori: gli effetti diretti delle manovre di risanamento dei conti pubblici, quelli esercitati sul costo e sulla disponibilità del credito per il settore privato dalla crisi finanziaria (peraltro arginata dalla politica di bilancio e dalle riforme strutturali), il rallentamento del commercio internazionale, l'aumento dell'incertezza e il connesso calo della fiducia. Ma se l'Italia non è ancora guarita il peggio sembra comunque alle spalle. «Il cammino da compiere, sottolinea Visco, «è ancora lungo, va percorso con impegno e attenzione, ma una fase acuta della crisi è stata superata». Non bisogna però mollare la presa e continuare a lavorare per ridurre le tensioni sul debito. Ulteriori riduzioni dello spread, spiega il governatore, «potranno derivare dal pieno dispiegarsi delle riforme nazionali». A preoccupare è soprattutto il mercato del lavoro, soprattutto per i giovani. «Il graduale recupero dell'attività produttiva», spiega Via Nazionale nel suo Bollettino economico, «consentirebbe una stabilizzazione del mercato del lavoro nel prossimo anno, ma non ancora un'inversione di tendenza, anche in considerazione dei consueti ritardi di trasmissione del ciclo economico alla domanda di lavoro». Visco poi prospetta un'azione congiunta di tutti i Paesi dell'Eurozona per far ripartire l'economia. «L'uscita dalla crisi nell'area dell'euro non potrà derivare da azioni isolate di singole autorità di politica economica». In particolare, ha spiegato, la politica monetaria non potrà da sola garantire la stabilità finanziaria dell'area in mancanza di soluzioni, a livello nazionale ed europeo, ai problemi all'origine della crisi dei debiti sovrani». Infine è importante che, «pur prevedendo adeguati presidi a garanzia della correttezza dell'operato, alle banche centrali non vengano legate le mani».

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