L'affondo di Bersani al Cav «Con lui regressione morale»
».Nel discorso di un'ora col quale Pier Luigi Bersani inaugura la sua campagna elettorale la parte più importante è recitata dai «no» pronunciati dal segretario. Un modo per stabilire una cesura netta con la seconda Repubblica, perché «il Pd non è solo un'alternativa di governo, ma vuole chiudere una vicenda ventennale di mala-politica italiana». Così, prima ancora che pensare al futuro, nella sua lunga arringa Bersani getta prima uno sguardo impietoso al passato, condannando la «deriva morale» nella quale la destra berlusconiana ha precipitato il Paese e non risparmiando qualche stoccata a Mario Monti pur nella consapevolezza che «dopo le elezioni dovremo chiedere l'aiuto di tutti coloro che si riconoscono alternativi alla destra». Al teatro Ambra Jovinelli di Roma il segretario del Pd si presenta con una quarto d'ora di ritardo rispetto al programma. La sala è stracolma, i meno puntuali sono costretti ad accomodarsi in piedi ai lati della platea. L'evento è indirizzato ai giovani, in particolare a coloro che voteranno nel 2013 per la prima volta. E che, purtroppo per il Pd, non potranno dire la loro nella decisiva partita del Senato. Ma almeno la metà del pubblico è costituito da militanti di vecchia data, e in sala va in scena un surrogato della battaglia rottamatrice, con tanti ragazzi a caccia di una poltroncina libera e i più maturi che rispondono: «Voi giovani dovete conquistarvelo il posto, come abbiamo fatto noi». Renzi storcerebbe il naso, ma da questo punto di vista il segretario si è coperto le spalle alla grande. A precedere il suo intervento sono tre giovanissimi trionfatori delle primarie, «la testimoniaza - spiega Bersani - di come siamo abbiamo sconfitto il Porcellum». E proprio ai giovani è dedicata la prima parte del discorso: «Non siete una categoria - li sprona - ed è inutile che facciate i sindacalisti di voi stessi. Dovete recitare un ruolo in primo piano». Ma per non far tremare i big, Bersani precisa che «il filo delle esperienze non va reciso». Usa subito parole forti, il segretario. Invoca la «ricostruzione morale ed economica del Paese». Anche se poi specifica che «la campagna elettorale si sta mettendo su un piano che non mi piace». Basta cabaret, quindi, basta slogan. «Noi parleremo solo degli italiani, senza promettere miracoli ma senza dimenticare nessuno» rivendica, e qualcuno subito tra il pubblico grida la parola «esodati». «Faremo il possibile», la replica. Viene il momento degli attacchi. A Berlusconi, innanzitutto: «Hanno il coraggio di ripresentarsi tali e quali - accusa - e non li abbiamo mai visti fare neanche una riunione per chiedersi se avessero sbagliato qualcosa». «Ma non torneranno, non saranno loro - ammonisce - a tirarci fuori dal mare di guai in cui ci hanno cacciato». Anzi, per Bersani va evitato che si riscriva la storia degli ultimi due anni: «Berlusconi e Tremonti furono convocati dall'Europa, si impegnarono in un patto di bilancio che poi per primi non furono capaci di far rispettare. Per questo li abbiamo cacciati». Non che Monti sia stato perfetto, anzi. «Ha scelto di candidarsi - spiega il segretario - e questo cosa non ci è piaciuta. Ma non rinneghiamo di aver appoggiato il suo governo - replica a una giovane - perché quando si pensa di fare qualcosa per il bene del Paese, non ci si sbaglia mai». Per superare la fase «tecnica», però, Bersani spiega che «il rigore deve essere solo la condizione da affiancare alla crescita e non l'obiettivo assoluto». Quindi «non basta un'agenda, ci vuole una lenzuolata». A partire dal punto forte della «ditta», le liberalizzazioni, «che rappresentano il modo in cui la democrazia può mettere delle regole al mercato, mentre con il liberismo è il mercato che vuole dominare la democrazia». È da quel punto che il leader del Pd comincia a snocciolare qualche punto del programma, tenendosi però lontano dallo spinoso argomento delle tasse. Sulla giustizia Bersani promette «abolizione delle leggi ad personam e nuove norme su falso in bilancio, riciclaggio, incandidabilità, conflitto di interessi. Dopo il passaggio sui diritti civili («cittadinanza ai figli degli immigrati, parità di genere, unioni civili per le coppie gay») è il turno del lavoro. Bersani parte rivendicando la paternità di quel credito d'imposta (la detassazione alle imprese per i neoassunti) che Berlusconi sta lanciando in campagna elettorale ma che «abrogò quando era al governo». Poi parla di merito, parità di condizioni di partenza, salari minimi, sempre ricordando che «non sono le regole a creare occupazione, ma è la politica economica in generale. E per rilanciare il lavoro bisogna dare nuovo slancio agli investimenti e ai consumi». L'affondo più deciso, però, è quello contro i personalismi: «Sono l'unico che non ha messo il suo nome sul simbolo elettorale. Non certo per timidezza - scherza - ma perché gli individualismi sono il cancro della democrazia. Anche per questo è necessaria una nuova legge sui partiti. Perchése qualcuno sbaglia deve esserci una struttura alle spalle che possa fermarlo in tempo». Il pubblico si spella le mani, un po' meno quando il segretario apre alla collaborazione con le altre forze. Ma in questo caso, sostiene Bersani, il fine giustifica i mezzi. «In futuro potrete dire di essere stati quelli che hanno definitivamente mandato a casa la destra - arringa i giovani - ma ora non lasciate fare tutto a me. Al lavoro. Ora tocca a noi».