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Calcio e politica, torna il modello-Silvio

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Da Lotito a Zamparini i presidenti cercano di ripercorrere l'epopea di Berlusconi Ma rispetto al 1994 lo sport più popolare d'Italia non è più simbolo di successo

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>.Le trattative sulle leggi finiscono ai supplementari. La sinistra va in pressing sui centristi. I parlamentati cambiano casacca. La commistione tra calcio e politica è così radicata che finanche il vocabolario si è adeguato. E non ce ne voglia Mario Monti, che più che scendere in campo è «salito» in politica. Persino lui che si sforza di apparire così sobrio non può ignorare che il primo vero passo da candidato lo fece lo scorso 1° luglio, quando si recò a Kiev per assistere alla finale degli Europei tra Spagna e Italia portando, ahilui, sfortuna agli azzurri. Non sorprende, dunque, che tra la miriade di giudici e giornalisti che popolano le liste elettorali spuntino qui e là presidenti, direttori sportivi, persino allenatori. In fondo a fare da apripista non è stato un tipo qualsiasi. Silvio Berlusconi, proprio lui, prima ancora di essere l'uomo che dal nulla aveva creato Fininvest, per l'immaginario popolare italico era il presidente del Milan. E non un Milan qualsiasi, ma la squadra universalmente riconosciuta come una delle più forti di sempre, capace nell'era del Cavaliere di vincere tutto. Berlusconi per primo ha capito che l'enorme appeal conquistato negli stadi d'Europa poteva essere cavalcato anche in campagna elettorale, non a caso alle sue cicliche candidature sono puntualmente corrisposti colpi di mercato a effetto. Perché in Italia il calcio è religione di Stato molto di più della politica o dell'evasione fiscale. E i puristi che si ostinano a negarlo, provino a ricordare un'immagine a caso del settennato dell'amatissimo Sandro Pertini: la prima - e in alcuni casi l'unica - che verrà in mente sarà quella del Presidente che, al Bernabeu di Madrid, si alza in piedi per esultare ai gol degli azzurri alla Germania. Immaginate se succedesse ora di farne tre ai tedeschi ai Mondiali: quanta retorica nazionalpopolare sarebbe rovesciata nella campagna elettorale? Ovvio che adesso siano in tanti a sognare di ripercorrere, almeno in parte, l'epopea del Cavaliere. Equamente distribuiti nei poli: Vendola ha candidato l'ex allenatore Renzo Ulivieri, il patron del Palermo Maurizio Zamparini guida una lista anti-Equitalia, il presidente della Lazio Claudio Lotito si schiererà col Pdl anche se non è chiaro se lo farà a Roma per le Regionali o nella sua seconda patria calcistica, Salerno. Per completare il quadro, non si possono dimenticare Luciano Moggi, direttore generale della Juventus pigliatutto degli anni 90' poi finito nelle maglie di Calciopoli, che sarà candidato dai Riformisti di Stefania Craxi, e Paola Ferrari, conduttrice della Domenica Sportiva, tentata, pare, dalle sirene del Pdl. Il problema di queste nuove discese in campo è che, per quanto simili a quella originale, a livello di contesto ne sono distanti anni luce. Perché il calcio dal quale proveniva Berlusconi era figlio di quegli anni '80 dorati cui fece seguito un decennio sportivo in cui le squadre italiane, generosamente foraggiate dai presidenti, dettavano legge ovunque giocassero. Cosa resta ora di quei trionfi? Assai poco. Nessuna compagine tricolore ha più vinto una coppa europea dal «triplete» dell'Inter, nel 2010. Ma anche quello fu il colpo di coda di un movimento già in crisi profonda. E più che la mancanza di risultati, è la cattiva gestione del pianeta calcio a denunciarne le difficoltà. Se la politica ha preso dal pallone qualche dirigente e un bel po' di vocaboli, il pallone in cambio si è caricato di tutti i difetti del Parlamento. Un elenco? Semplice: la polemica fiscale («le tasse non ci consentono di competere con la Spagna»), gli attacchi alla giustizia («i tribunali sportivi sono da rifondare») o l'incapacità di prendere decisioni. In quale altro modo si può definire l'impasse in cui è finita la Lega di A, che non riesce a eleggere il sostituto di Maurizio Beretta, dimissionario dal marzo 2011? E che dire proprio di Beretta, al tempo stesso presidente di Lega e nel cda di Unicredit azionista di minoranza della Roma? Ricordano qualcosa le parole conflitto di interessi? Sono davvero questi i dirigenti di cui la politica ha bisogno? Non ce ne sono già abbastanza di problemi del genere a Palazzo?

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