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E venne anche il giorno della Boccassini.

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IlCavaliere ha proseguito ieri mattina la sua campagna tambureggiante in tv andando ospite del programma su La7 «Omnibus» ma, pur arrabbiandosi, ha sempre chiuso i suoi interventi con il sorriso sulle labbra, scherzando con i giornalisti che erano ospiti con lui della trasmissione, Maurizio Damilano de «L'Espresso» e Antonio Polito, editorialista del «Corriere della Sera». Al primo ha addirittura sbattuto in testa il cartellone in cui sono illustrati tutti i provvedimenti del suo governo. «Ma non fa male – si è poi scusato – è di polistirolo». Non ha scherzato, invece quando ha parlato dei giudici milanesi: «Dovrebbero andare sotto processo, sono mostruose macchine di diffamazione. È uno scandalo vero». E in particolare dovrebbe finire sotto inchiesta la Boccassini «per un sacco di buoni motivi». Uno tra gli altri, «aver impiegato ingenti risorse dello stato su un'accusa inesistente». Il processo Ruby è la vera spina nel fianco del Cavaliere. L'ex premier sa che con la decisione di lunedì, con cui i giudici del tribunale hanno respinto la richiesta del legittimo impedimento per rinviare il processo, la sentenza potrebbe arrivare proprio a ridosso del voto. Con il rischio, molto concreto, che sia di condanna. Per questo Berlusconi ha deciso di alzare nuovamente i toni, di delegittimare, a livello mediatico, i magistrati meneghini. Pur ammettendo, in risposta a un suo sostenitore sul sito Forzasilvio.it, che questa «è la più difficile campagna elettorale della mia storia». «Ciò che accade al tribunale di Milano è uno scandalo che grida vendetta davanti a Dio e agli uomini» si è sfogato in trasmissione. Ma a chi spera che quel processo possa fermare il suo tentativo di rimonta Berlusconi ha lanciato un avvertimento: «La reazione dei miei elettori di fronte a un'ennesima prova di parzialità da parte dei giudici di Milano sarebbe una reazione di ancora maggior sostegno». All'attacco non ha voluto reagire Edmondo Bruti Liberati, capo della procura di Milano, il quale si è affidato a un comunicato contenuto nel «bilancio sociale» presentato lo scorso dicembre: «La procura della Repubblica di Milano si è attenuta alla linea di non replicare ad attacchi che provengano da imputati o da esponenti pubblici anche quando (e purtroppo è capitato) apparissero superati i limiti della legittima espressione di opinioni critiche». Ha reagito, invece, duramente, il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli: «Respingiamo come inaccettabili e gravi i violenti attacchi personali oggi rivolti dall'onorevole Berlusconi contro i magistrati di Milano, che costituiscono un'offesa intollerabile». Intanto però il Cavaliere, per chiarire ancora meglio quanto grande sia la sua insofferenza verso quelli che per lui sono magistrati che lavorano solo per la sinistra, in trasmissione ha spiegato anche che cosa lo ha convinto definitivamente a riprendere il timone del Pdl: la sentenza di condanna sul processo Mediaset «è stata una concausa della decisione di tornare in campo e togliere la fiducia a Monti». «C'era già la conoscenza dei sondaggi che indicavano che il Pdl senza di me era al 10% – ha sottolineato – E c'era la consapevolezza di cosa sono stati capaci di combinare questi giudici. Allora mi sono detto, non è possibile che io non sia di nuovo in campo per lottare contro questa patologia». Ma un patologia per Berlusconi è anche la presenza, sullo scacchiere politico delle elezioni, del Professore: «Non c'è stata una trattativa tra me e il presidente Napolitano per nominare Monti senatore a vita. Se avessi saputo che Monti sarebbe diventato un protagonista della politica cercando di portare via i voti ai moderati, non avrei mai firmato quella nomina». «Si è rivelato un bluff – ha ripetuto – tutto quel che ha fatto ci ha deluso». Poi, replicando ancora all'accusa di «pifferaio» che gli aveva rivolto lunedì il premier uscente, Berlusconi è diventato sferzante: «Probabilmente Monti è sotto choc per i sondaggi che lo indicano come un leaderino del centro». Lanciandosi anche in una citazione di Flaiano: «L'insuccesso dà alla testa. Monti ci ha ingannato, è diverso da quello che si era presentato». Ironia anche nei confronti del leader dell'Udc e di quello di Fli, che hanno messo in lista parenti: «Fini e Casini hanno dei partiti di proprietà e Casini con coerenza con il suo partito ha rispettato il quoziente familiare nelle sue candidature. È apprezzabile questa coerenza». E poco coerente, oltre che destinata alla sconfitta è, secondo il Cavaliere, l'alleanza post voto tra Bersani e il Professore: «Nel '96 vinsero le elezioni dopo che io fui eliminato da un avviso di garanzia della solita procura di Milano e poi fui assolto ma loro hanno cambiato 4 governi e presidenti del Consiglio in 5 anni. Poi vinsero di nuovo ma Prodi al governo c'è stato meno di 2 anni». Svelato infine il nome che il Cavaliere avrebbe in testa per il Quirinale: il presidente della Bce Mario Draghi. «Se ci fosse una maggioranza in Parlamento lo voterei alla presidenza della Repubblica. Non è un nome di sinistra visto che alla guida della Bce l'ho proposto io. Io comunque non ho ambizioni a diventare presidente della Repubblica». Ma il capo della banca centrale ha ringraziato e ha detto no grazie: sono impegnato nell'Istituto fino a ottobre del 2019.

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