Il primo ad arrivare è Pier Ferdinando Casini.
«Macome? - la domanda scandalizzata dell'osservatore - Si mette la sciarpa della squadra di Silvio Berlusconi?» Dubbio che sembrerebbe nascondere anche una preoccupazione più profonda: non è che, alla fine, il buon Pier tornerà alla casa del Cavaliere? Nessun rischio. Oggi non è giornata di «tradimenti». Né calcistici (mancano poco più di tre ore alla semifinale di Coppa Italia tra Inter e Bologna). Né politici. Il leader Udc deve presentare l'ultimo libro del suo «amico» Massimo D'Alema. Una sorta di celebrazione del lìder Massimo che nella prossima legislatura, causa scelta di non candidarsi, non potrà festeggiare con Casini i suoi 30 anni in Parlamento. La sala è quella della pinacoteca Capitolina dedicata a Pietro da Cortona. In platea, sparsi qua e là, l'ex capogruppo del Pd Anna Finocchiaro, il suo vice Nicola Latorre, la senatrice Mariapia Garavaglia, i deputati Marianna Madia, Roberto Colaninno. Un po' in ritardo arriva anche lo storico tesoriere dei Ds Ugo Sposetti che, mentre sta lasciando la sala, ferma e si intrattiene a lungo con Vladimiro Crisafulli. Il «re» di Enna, vera e propria cassaforte dei voti democratici in Sicilia. Poi c'è la prima fila. Il moderatore Marco Damilano cita una frase dell'avvocato Gianni Agnelli, rivolta a D'Alema, citata nel libro: «L'establishment la percepisce ostile». I presenti non possono fare a meno di guardare le sedie su cui, nell'ordine, sono seduti l'amministratore delegato di Acea Marco Staderini, il presidente della Fondazione Generali Cesare Geronzi, l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, l'ex capo della Polizia Gianni De Gennaro. Più tardi arriverà anche il vicepresidente del Csm Michele Vietti. Se la classe dirigente del Paese percepisce Massimo come «ostile», di certo non lo dà a vedere. Dietro le spalle dei relatori, quasi a vegliare dall'alto, un busto del pontefice Benedetto XIV. La cui tendenza fondamentale, almeno secondo Pio XII, era proprio quella di «conciliare i contrasti». Scelta non potrebbe essere più opportuna. Sia Casini che D'Alema sanno che, al netto del libro-intervista curato da Peppino Caldarola, ciò che interessa ai presenti è un'unica cosa: ci sarà, dopo il voto, un'intesa tra i Democratici e montiani? Alla fine l'impressione è che, fosse per i due, l'intesa sarebbe già sottoscritta e protocollata. Ma la campagna elettorale impone la sua giusta dose si suspance. C'è tempo per lavorare. Anche se alcune cose sono già piuttosto chiare. Per D'Alema, ad esempio, non c'è altra possibilità, se veramente si vuole «ricostruire» l'Italia, che quella di «un patto di governo di medio-lungo periodo tra progressisti e moderati». «Non credo - aggiunge - sia possibile che una maggioranza, democratica ed europeista, possa fare a meno della sinistra. Ma penso anche che la sinistra non sia autosufficiente per un impegno così gravoso». Allo stesso tempo, però, l'ex premier critica i montiani per non aver sostenuto un «moderato» come Umberto Ambrosoli in Lombardia, dando alla destra la possibilità di vittoria. Casini respinge l'affondo («la questione Lombardia è mal posta. Anche il Pdl ci accusa di aver favorito il Pd con la candidatura di Albertini. Qualcosa non funziona»), e sul «patto» gioca di rimessa: «Devo riconoscere che D'Alema non ha mai teorizzato l'autosufficienza della sinistra, ma ha sempre cercato il rapporto con altre aree. Non è mai stato un politico a compartimenti stagni. Temo però, che Massimo ami tanto il centro da volerlo irrilevante. Piccolo, piccolo. Magari presieduto dal suo amico Casini. Ma io mi sono messo in seconda fila proprio perché vorrei costruire qualcosa di più consistente». «Ho un altro timore - aggiunge -. Ed è quello del nessun nemico a sinistra. Il Pd, che nell'ultimo anno ha sostenuto il governo Monti, sta facendo la campagna elettorale con chi, come Vendola, considera il premier uguale a Berlusconi. Possiamo avanzare, sommessamente, questo rilievo?» Insomma, i termini della trattativa sono chiari: o Vendola o Casini. Tocca ai Democratici decidere. Ma a questo punto D'Alema, sfodera tutta la sua abilità. Parlando dell'elezione del prossimo presidente della Repubblica sottolinea: «In questi anni c'è stata una alternanza provvidenziale per cui ogni volta che c'è stato da eleggerlo la maggioranza ce l'avevamo noi. Quindi abbiamo evitato danni. Questo è ciò che la Provvidenza ha voluto fare per il nostro sfortunato Paese. E sarà così anche questa volta». Tradotto: se Pier spera di poter salire al Colle sappia che dovrà passare da noi. Il gran finale è tutto per il lìder Massimo: «Mi dispiace non esserci nella prossima legislatura, mi sarebbe piaciuto vedere alla prova le nuove generazioni. Ma sicuramente non mancheranno i maestri a cui potranno fare riferimento». Applausi e strette di mano. La moglie Linda Giuva incontra una coppia di amici, lo chiama: «Massimo dobbiamo assolutamente invitare loro in campagna. Ora che, come si dice, sarai più libero». Anche lei sa che questo è solo un nuovo inizio.