Il bersaglio continua ad essere Bersani più che Berlusconi.
Dicea chiare note che il suo obiettivo non è certo il pareggio in Senato (il che aprirebbe la strada a un'alleanza con il Pd) e che «chi non punta su di noi, condanna l'Italia all'arretratezza». E per arretratezza Monti intende non solo un vecchio modo di fare politica ostile «alla mancanza di competitività», ma «un certo tipo di sindacalismo che danneggia i lavoratori». Parla guardando Ichino che proprio in dissenso sulla politica del lavoro ha detto addio al Pd e si rivolge implicitamente alla Cgil. «A volte le istanze etiche, genuinamente sentite da certe organizzazioni politico e sociali - afferma con tono pacato - finiscono per non fare l'interesse delle persone o delle categorie che vogliono tutelare, ma il loro danno». Di qui l'elogio a Ichino che «per portare le sue idee con coerenza dalla sua mente alla realizzazione politica, ha corso molti rischi». Monti quindi rilancia il suo obiettivo, ovvero «contribuire gradualmente a cambiare la politica italiana per renderla più moderna e coinvolgere la società civile». E se questo orientamento non dovesse prevalere l'Italia, avverte, «sarà condannata ad essere una società vecchia». Parole dure, ancora una volta sul presunto conservatorismo degli altri schieramenti ai quali manda a dire anche che «il centro non è la nostra aspirazione e non vogliamo essere nè terzo, nè incomodo» ma portare una ventata riformista. Monti non dimentica di punzecchiare Berlusconi. Coglie al volo l'intervento dell'Agcom che parla di un eccesso di Monti in televisione per dire che ci sono «personaggi con forte tendenza e magistrali capacità all'esposizione televisiva» (chiara l'allusione a Berlusconi) che devono rispettare le regole. Se la prende con la Lega: «devastanti gli effetti deal riforma del Titolo V della Costituzione» mentre l'Italia deve andare «verso un federalismo responsabile». Mentre Monti è a Milano, a Roma fervono i lavori per la formazione delle liste. Dovevano essere presentate ieri ma è stato necessario uno slittamento. Ancora da superare qualche ostacolo per definire lo schieramento per il Senato e da sistemare gli ultimi tasselli delle candidature per la Camera. Per il via libera alla lista Monti a Montecitorio si attenderebbe solo l'ultima valutazione politica da parte del Professore e la due diligence finale di Enrico Bondi, anche se non tutti i nodi sarebbero sciolti. In particolare rimarrebbero da superare le ultime tensioni legate ai rapporti interni a «Verso la Terza Repubblica», tra la componente cattolica e quella che fa riferimento a Italia futura. Riunioni no stop anche in casa Udc, dove la squadra della Camera avrà i suoi punti di forza in Rocco Buttiglione, Lorenzo Cesa, nel capogruppo uscente Gian Luca Galletti e nell'attuale ministro per le Politiche agricole Mario Catania. Data sempre per probabile invece la candidatura del ministro per la Salute Renato Balduzzi e orientato per il sì anche il ministro per le Politiche europee Enzo Moavero Milanesi. Fli conferma Fini come capolista alla Camera, Bocchino e Menia. Per Montecitorio dovrebbe correre anche Gianfranco Paglia, mentre saranno nella lista unica del Senato, oltre a Della Vedova, anche Giulia Bongiorno, Mario Baldassarri, Giuseppe Consolo e Alessandro Ruben. Quest'ultimo sarà presentato in Puglia. Nella lista Monti per il Senato confermato che per l'Udc ci saranno Pier Ferdinando Casini con i fedelissimi Mauro Libè e Roberto Rao, mentre da stabilire ancora se Antonio De Poli correrà per Palazzo Madama o per Montecitorio. Non sarà candidato Beppe Pisanu, mentre Fabio Gava, che veniva indicato come capolista in Veneto, sarà retrocesso al terzo posto. Accetta invece la candidatura in Toscana Alessio De Giorgi, imprenditore e direttore di Gay.it.