Il momento per capire quale sarà il destino di Alitalia è propizio.
Quelliche condivisero il progetto dell'allora presidente del Consiglio e che ora, in parte, dopo tre anni senza vedere grandi frutti in termini di ritorno, ambiscono a fare cassa e a uscire dall'investimento. In realtà la situazione è più complessa di un semplice disinvestimento. Ma intanto la compagnia francese, che detiene la maggioranza di Alitalia, avrebbe messo a punto un'offerta che darebbe ai privati il 20% in più di quanto speso nel 2008. Difficile pensare a una liquidazione in contanti. Anche la compagnia transalpina non naviga in acque tranquille. Il 2012 secondo le prime stime sarà chiuso con una perdita di circa 933 milioni di euro. Il piano di ristrutturazione che prevede oltre 4 mila esuberi non avrà effetti immediati nei costi considerato che sarà spalamato nei prossimi anni. Resta l'ipotesi dello scambio azionario. E secondo le indiscrezioni questo sarebbe il piano messo a punto dalla banca d'affari Lazard che starebbe seguendo il dossier. Ai piccoli soci Alitalia verrebbero conferite azioni Air France in cambio di quelle dell'ex compagnia di bandiera italiana. Uno scambio che potrebbe essere vantaggioso considerato che i corsi azionari del vettore francese potrebbero beneficiare del recupero in Borsa per i primi effetti della ripresa economica nel 2013. Fin qui l'offerta d'Oltralpe. Sul fronte italiano, invece, si starebbe studiando la possibilità di aggregare le quote dei soci che vorebbero consolidare l'italianità della compagnia. Sarebbe questo l'intento di quelli animati dal sentimento patriottico decisi a resistere alle pressioni dei francesi. L'idea sarebbe di costituire una scatola finanziaria, sul modello della Telco per Telecom Italia, nella quale conferire le quote minoritarie. Si creerebbe un socio forte accanto a IntesaSanPaolo a alla Immsi di Colaninno che potrebbe fare più facilmente asse per difendere gli interessi italiani. O quantomento contrattare con maggiore peso il possibile rafforzamento dei francesi. Escluso per ora un possibile intervento del Fondo Strategico Italiano, braccio finanziario della Cassa Depositi e Prestiti, limitato dallo statuto che non gli consente l'ingresso in società in perdita economica. Sulla questione si interroga anche la politica. Silvio Berlusconi, che è stato l'artefice dell'operazione Fenice, torna a chiedere che Alitalia resti italiana e non finisca nelle mani dei francesi. Il nostro paese non può non avere una propria compagnia di bandiera» ha detto Berlusconi, che su Alitalia ha spiegato che oggi rifarebbe «la stessa scelta» di quando era premier. «Se fosse caduta nelle mani di Air France - sottolinea il Cavaliere -, tanti turisti sarebbero finiti a visitare i castelli della Loira invece che le nostre città d'arte. Conosco bene i francesi...». Mario Monti sostiene, invece, che sul futuro di Alitalia «non ci sono posizioni astratte e dogmatiche»: comunque «bisogna vedere quali alternative e quali sono le prospettive economico-finanziarie di Alitalia». L'ipotesi di aumentare la quota societaria non è stata commentata ieri dalla compagnia di Spinetta. Quello che arriva dagli azionisti italiani è che non ci sono elementi per poter brindare: già nei mesi scorsi diversi soci si sono mostrati critici sul fatto che non si sia fatto molto per preservare il valore del capitale investito; e a questo si aggiunge la scarsa disponibilità di Air France a riconoscere loro un premio di maggioranza. Secondo fonti vicine al dossier, tuttavia, l'integrazione con Air France, sarebbe un naturale sviluppo delle cose ma non avrebbe tempi così stretti. Tra l'altro, fino ad ottobre per vendere le quote serve il via libera del cda. La prossima riunione del consiglio è intanto fissata per la fine di febbraio sui risultati annuali. L' accelerazione del dossier inoltre, ha sorpreso i sindacati: la Uiltrasporti, che ha espresso forte preoccupazione per la situazione economica e finanziaria della compagnia che va verso la ricapitalizzazione, chiederà un incontro all'ad Andrea Ragnetti. Mentre l'Avia ha criticato Berlusconi e lo invita a fare un atto concreto acquistando egli stesso una quota. Intanto dietro le quinte si starebbe lavorando all'ipotesi di aggregare le quote degli azionisti italiani (21 partecipazioni che vanno dal 16,6% di Riva allo 0,9% di Manes, Marcegaglia e Loris Fontana) consolidando l'italianità e garantendo i piccoli: un'operazione che, a quanto si apprende, potrebbe essere gestita o da un fondo azionario o da un'azionista italiano.