Il Vaticano: «I partiti preservino lo Stato sociale»
Èquanto ha affermato alla Radio Vaticana monsignor Mario Toso, Segretario del Pontificio consiglio giustizia e pace. Toso ha ripercorso alcuni aspetti del recente messaggio per la pace di Benedetto XVI sottolineando che in esso si promuove un insieme di «diritti e doveri indivisibili». In questo senso, spiega, «via della realizzazione della pace è la realizzazione del bene comune». «La vera politica - afferma il vescovo - deve mirare alla realizzazione del compimento umano. La politica è amore alla vita umana nella sua integralità». «Da questo punto di vista, i partiti - afferma Toso - pur guardando al bene comune da un punto di vista particolare non possono essere privi dell'orizzonte del bene umano integrale». «Il vero riformismo di cui tanto oggi si parla - aggiunge il Monsignore - si trova avvicinandosi il più possibile, nelle agende, nei programmi, all'integralità dei diritti-doveri dell'uomo. Là dove, per varie ragioni tattiche di alleanza, si mette la sordina su alcuni diritti fondamentali, si frena il vero riformismo. Il riformismo è tale se favorisce la pienezza della umanità in tutte le persone». Nel concreto questo significa compiere alcune scelte precise: «l'attenzione alla totalità dei diritti-doveri induce la politica a non trascurare il diritto al lavoro. Il lavoro è un bene fondamentale e non un optional come farebbe intendere la nuova dottrina del capitalismo finanziario sregolato, e, pertanto, occorre promuovere politiche attive del lavoro per tutti». «Così - rileva ancora il segretario di Iustitia et Pax - la politica non deve puntare all'abbattimento dello Stato sociale e democratico, erodendo i diritti sociali, pena la crescita delle diseguaglianze e il conseguente indebolimento della democrazia partecipativa». «Senza i diritti sociali - prosegue Toso - non sono fruibili i diritti civili e politici. Non si contrappongano politiche dello sviluppo e politiche sociali». «Se tagli agli sprechi debbono essere fatti, se tassazioni ci debbono essere ciò non significa - precisa Toso - penalizzare gli investimenti nella ricerca, nell'innovazione, nello studio, in nuove aree di operosità. Si dovrebbe escluderli, in definitiva, dal deficit di bilancio».