Lo spread sotto la quota Monti: 283 punti
Oralo spread, la differenza di rendimento tra il Buono Poliennale del Tesoro italiano e l'omologo Bund tedesco fa meno paura. Dopo aver toccato quota 575 punti nel novembre del 2011, quando sull'onda della sua crescita Berlusconi dovette abbandonare Palazzo Chigi, ieri dopo un anno e più di saliscendi, a volte anche non motivati dalla ragione politica, è sceso sotto la cosiddetta soglia Monti a 283 punti base, ai minimi da marzo 2012, e sotto il livello di 287 punti indicato dal presidente del consiglio dimissionario come obiettivo per il suo governo, essendo la metà di quello trovato al suo insediamento. Ai livelli minimi da oltre due anni è sceso anche il rendimento dei titoli decennali italiani al 4,27 per cento, un tasso che non si vedeva dalla fine del 2010. Una situazione che darà sicuramente più vigore alla possibile ripresa economica italiana e allevierà, in parte, i costi di finanziamento dello Stato e delle imprese, con effetti benefici sui loro conti. A comprimere verso il basso lo spread non è stata una particolare azione della politica italiana. Ieri a gettare acqua sul fuoco dei rendimenti sono state principalmente due notizie. La prima è arrivata dagli Usa, dove il mini accordo per evitare il Fiscal cliff (il baratro fiscale) ha dato un segnale preciso agli investitori: la flebile ripresa avviata negli Usa non sarà fermata dalla ghigliottina che avrebbe tagliato in maniera lineare le voci di spesa del bilancio americano, imitando il metodo applicato da Tremonti a quello italiano. Dunque per ora niente recessione. La seconda notizia è arrivata geograficamente da più vicino e per la precisione dalla Germania. Ieri il Tesoro tedesco ha venduto titoli di Stato a due anni per 4,15 miliardi di euro. E per la prima volta da tempo il rendimento medio garantito è tornato positivo passando dal -0,01% dell'asta precedente allo 0,01%. Un'inezia. Ma con un significato importante. Le tensioni si sono allentate e gli investitori che prima cercavano solo sicurezza e pur di mettere i loro soldi nella casse statali tedesche (dove questa era assicurata) erano disposti ad accettare di ottenere meno soldi di quelli prestati, hanno cambiato umore. Da ieri i capitali si sono messi in cerca di rendimenti più alti, rispondendo alla prima legge del denaro che dice che è merce che va pagata al giusto prezzo. La minore richiesta di Bund ha dovuto spingere il Tesoro tedesco ad alzare i rendimenti offerti. Da qui quel calo così violento dello spread influenzato sia dal rendimento del Btp ma, come in ogni normale sottrazione, anche dal tasso del Bund. Il mercato sconfitto dalla paura nel 2012, ingigantita dai media e alimentata dall'incapacità dei governanti europei di approntare strategie collettive per gestire la complessità della crisi, ora sta riprendendo il suo normale equilibrio. Dunque tassi più alti per la Germania e un po' più bassi per i paesi periferici come l'Italia e la Spagna. A sconfiggere i timori vanno ricordati una serie di passaggi fondamentali. In ritardo sì, ma alla fine arrivati in tempo per salvare l'euro dalla fine certa. In primis la promessa di Draghi a luglio di «fare qualsiasi cosa per preservare l'euro». Poi la messa a punto dello scudo antispread da parte di Francoforte, insieme ai passi avanti fatti sulla supervisione bancaria e sul fronte delle politiche di bilancio. Niente di trascendentale ma sufficiente a dissuadere gli speculatori dall'avventurarsi in azioni di sabotaggio finanziario verso gli Stati. Un anno vissuto pericolosamente dalle parti di via XX settembre dove l'ufficio di Maria Cannata, direttore del debito pubblico italiano, è stato trasformato in un fortino. Ma alla fine le strategie di contenimento dei colpi della speculazione hanno pagato. Come la trasformazione di molte aste di Btp decennali in Bot a più breve durata per evitare l'effetto trascinamento di tassi molto alti anche negli anni futuri. O anche la sottile moral suasion nei confronti delle banche italiane piene di liquidità inviata dalla Bce di Draghi a più riprese e chiamate a comprare titoli di Stato mitigando le loro pretese nei rendimenti. Un lavoro di squadra nell'interesse strategico dello Stato. Ora il 2013 sarà meno duro. «Sarà meno pesante e meglio distribuito per quanto riguarda le scadenze dei titoli di Stato» ha detto la Cannata, durante un convegno sui titoli di stato lo scorso dicembre. Quest'anno il fabbisogno sarà di «circa 20 miliardi inferiore», mentre le emissioni lorde totali saranno più basse di circa 60 miliardi. Andrà bene anche il 2014, mentre il 2015 sarà di nuovo un anno impegnativo». Il 2012 è stato l'anno in cui l'Italia ha dovuto affrontare «il più grande numero di scadenze» sul fronte dei titoli di Stato. «Siamo stati solidi nel non farci prendere dal panico. Le aste sono sempre state coperte». Lo stellone italiano ha brillato ancora.