Ingroia attacca
Bersani e Grasso «Nel Pd smarrita l'eredità di Berlinguer Il procuratore? Tesseva le lodi del Cav»
o.Le prossime elezioni assomigliano sempre più a un'assemblea dell'Anm, con i rappresentanti delle varie correnti a lanciarsi addosso le accuse più svariate pur di ottenere qualche voto in più. E così l'ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, nell'annunciare la sua ormai scontata candidatura a premier con la lista Rivoluzione Civile, mette nel mirino Pietro Grasso, ex procuratore nazionale Antimafia, e il Pd che ha deciso di candidarlo. Le ragioni della ruggine risalgono al 2005. A quando, cioè, Grasso vinse il concorso per il vertice della Procura Antimafia sotto il governo Berlusconi, reo di aver confezionato un decreto ad hoc, in seguito giudicato incostituzionale dalla Consulta, che di fatto eliminava dalla corsa l'unico avversario temibile, Gian Carlo Caselli. Una vicinanza, quella tra Grasso e il Cavaliere, ribadita quando il primo propose addirittura un premio all'esecutivo Berlusconi per i meriti conseguiti nella lotta alla mafia. Impossibile che Ingroia, fermo sostenitore della tesi sulle origini «malavitose» di Forza Italia, si lasciasse sfuggire l'occasione. E così, dopo aver sottolineato che non ha ancora deciso se si dimetterà dalla magistratura («per adesso sono in aspettativa, proprio come Grasso, che ha detto che si dimette ma non lo ha fatto»), il nuovo leader degli Arancioni ha rinfacciato punto per punto al collega le sue «scomode» amicizie. E da lì ha trovato nuova linfa per attaccare anche il Pd che lo ha scelto come il primo dei rappresentanti della società civile che saranno inseriti nelle liste per il Parlamento. «Bersani ha perso la strada - le parole di Ingroia - e ha smarrito l'eredità di Berlinguer e Pio La Torre. Per chi ha simili antenati, la questione morale dovrebbe essere messa al primo posto, mentre il Pd ha un atteggiamento confuso. Noi, invece, vogliamo combattere sul serio la mafia. Non avrei mai pensato di dover scendere in politica, ma l'Italia non è un Paese normale, c'è una corruzione dilagante ed è il momento per ognuno di assumersi le proprie responsabilità». Alle parole dell'ex pm ha risposto prontamente la senatrice del Pd Anna Finocchiaro, guarda caso anch'essa con un passato in Procura: «Si entra in politica se si ha un'idea di Paese. Iniziare come ha fatto Ingroia attaccando in modo scomposto un grande partito come il Pd, il suo segretario e il procuratore Grasso, è segno di debolezza culturale». Ancora prima Luciano Violante, ennesimo ex togato di questa storia eternamente in bilico tra politica e aule giudiziarie, aveva detto la sua in un'intervista al Corriere della sera: «La candidatura di Grasso va bene - il suo distinguo - perché da procuratore Antimafia non aveva alcun potere esecutivo e si è dimesso. Ingroia, invece, dovrebbe evitare di scendere in campo perché ha avuto qualche cedimento di protagonismo ed è parte attiva in un procedimento delicato». Più o meno tutto il contrario di quanto sostenuto su Il Fatto Quotidiano da Gian Carlo Caselli che, ripercorrendo a sua volta le tappe della vicenda del 2005, accusava Grasso di aver difettato di coerenza. Chi manca per completare il quadro? Altri due ex magistrati, è ovvio. Il primo è Antonio Di Pietro che, scaricato con il suo Idv dal Pd, ha deciso di spostare armi, bagagli, parlamentari e - spera - elettori al sostegno di Ingroia nel cosiddetto «quarto polo». Il secondo è Luigi De Magistris, che all'ex procuratore aggiunto di Palermo ha garantito l'appoggio del movimento arancione. Non tutto, però, visto che Giuliano Pisapia ha deciso di schierarsi col Pd. D'altronde anche il sindaco di Milano le aule di tribunale le ha frequentate, ma semplicemente da avvocato. Non è la separazione delle carriere che sognava il Cav, ma questo passa il convento.