di Massimiliano Lenzi Il tweet natalizio di Mario Monti è la conferma che, anche in politica, il mezzo è il messaggio.
Orava rinnovata la politica. Lamentarsi non serve, spendersi sì. Insieme, saliamo in politica». Viene all'ascolto prima ancora che alla vista il Mario Monti candidato alla premiership, come la sua agenda viene alla lettura senza passare dall'annuncio perché questo è il suo modo di comunicare. Evangelicamente potremmo partire dal «in principio era il verbo», la parola: ed allora, se poniamo ai vocaboli l'attenzione che meritano vediamo che quelle di Monti tracciano una discontinuità netta rispetto al linguaggio politico del suo predecessore a Palazzo Chigi, il Cavaliere Silvio Berlusconi. Monti sale in politica, il fondatore di Mediaset ci scese: e non sono sottigliezze le differenze verbali. Sale il Professore perché vuol trasmettere l'idea della politica governo della polis, come scelta alta, che nobilita ed impegna chi la fa, una missione, oltre le cattedre ed i commissariati europei. Scende Berlusconi perché per il Cavaliere mettersi in campo significa combattere, una sfida: in questi giorni, non a caso, ospite di diversi programmi tv Berlusconi pare aver ritrovato nel corpo a corpo con giornalisti, conduttori o chicchessia, un elisir di eterna giovinezza. Del resto se uno è Professore e un altro Cavaliere lo iato è già in atto. Per questo Berlusconi considererà sempre Twitter un medium irrilevante: perché non ha gran fiducia nel web, il fondatore del Pdl, visto che da quel mezzo, Twitter ma pure Facebook, è escluso il linguaggio pieno del corpo. Berlusconi, sta, come espressione di comunicazione politica, nella tradizione dei grandi tribuni del popolo italiani, da Cola di Rienzo a Benito Mussolini (non perché il Cav sia fascista, questo sia chiaro!) passando per Sandro Pertini (e non sembri una bestemmia!), inscindibile dalle sua braccia alzate allo stadio di Madrid nella finale dei Mondiali 1982 vinta dall'Italia contro la Germania o dalle sue gesta partigiane. Sì, perché il Cavaliere è corpo che precede la parola, è voce incarnata nell'immagine, ancella ad un sorriso, ad un movimento della mano, ad uno sguardo western. È televisivo il Cavaliere perché è il miglior prodotto (come efficacia di comunicazione politica) del Novecento che abbiamo alle spalle, seduttore da vedere prima che da ascoltare. Perciò è rimasto spiazzato dal turbinio internettiano e via web del XXI secolo ma soprattutto dalla crisi di un linguaggio in politica. In questo sapore novecentesco Berlusconi assomiglia un po' a Roberto Benigni. Ed ecco perché: se il Cavaliere è l'ultimo tele-politico del Novecento, Benigni è l'ultimo tele-comico. La differenza sta nel riadattarsi: mentre Berlusconi continua a fare il se stesso di prima, andando da Giletti od a TgCom24 (in tv, a dire il vero, è ancora sapido), Benigni ha smesso di fare soltanto il comico per diventare cantore civile: di Dante, di Mameli, della Costituzione. Ha intuito Benigni che il XXI secolo esigeva da lui un cambiare se stesso per non perdersi in una coazione a ripetere. Quel se stesso il Cav non l'ha mai incontrato perché sarebbe altro da lui ed oggi si trova a scendere in campo per la sesta volta mentre Monti sale in politica. Ma i tempi mutano e se nel 2001 lui propose il contratto agli italiani, oggi il Professore li dota di un'agenda: senza promesse, con volontà e patti chiari e ad una condizione, devono starci solo quelli a cui piace (e che si conteranno alle elezioni). C'è qualcosa di epocale in questo che - montiani, berlusconiani, bersaniani, grillini o altro - dovrebbero cogliere tutti: l'Italia sta provando ad uscire dal Novecento, in cui è ancora impelagata, dai Guelfi e dai Ghibellini, e ci sta provando per necessità, perché il mondo è già in un altro secolo. All'agonismo berlusconiano Monti contrappone l'idea di «insieme», di comunità, alla discesa, la salita. L'impegno del Professore è netto e questo è un fatto, così come il suo linguaggio è nuovo in (e per) la politica. Come nuovo fu, nel 1993-94, quello di Silvio Berlusconi. In fondo - spiegava il Cavaliere nel 1981 in un'intervista a Tv Sorrisi & Canzoni, alla domanda su quale fosse la sua più grande occasione perduta - «la vita è una catena di appuntamenti mancati, cose che si volevano fare e non si sono fatte, persone che si volevano frequentare e si sono perse di vista». E chissà che tra queste, oggi, lui non metta pure Mario Monti.