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Risse e contraddizioni di una destra che si isola

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Notoriamente contrario alle primarie del Pdl, per quanto ne avesse condiviso nell'ufficio di presidenza l'annuncio nell'ormai lontano mese di giugno, e ne avesse confermato il 24 e il 25 ottobre scorsi, per iscritto e a voce, la utilità «per aprire democraticamente una pagina nuova di una storia nuova». E ciò a 48 ore - ieri - dal completamento delle procedure per l'ammissione dei candidati e a tre settimane dalle votazioni a turno unico. Qualcosa che sa francamente di troppo pasticciato e improvvisato, specie rispetto allo spettacolo offerto dal Pd per le sue, di primarie «di coalizione». Che sono state preparate con un adeguato anticipo, stanno mobilitando e appassionando un bel po' di gente, hanno già fatto salire di qualche punto nei sondaggi le quotazioni elettorali del partito e si svolgeranno domani. Per concludersi al massimo la domenica successiva, se risulterà necessario il ballottaggio fra i due maggiori concorrenti: Pier Luigi Bersani e Matteo Renzi. Anche se già comparse pubblicamente in articoli e dichiarazioni, non potete immaginare quali e quante confessioni di «invidia» mi sia capitato di raccogliere in questi giorni fra i parlamentari del Pdl verso la «vitalità» dimostrata dal partito antagonista. E quanti sfoghi di «rabbia» verso i responsabili dei ritardi accumulati su questa strada dal loro movimento. Responsabili al plurale per modo di dire, perché otto su dieci se la prendevano con il Cavaliere in persona, per il suo consenso alterno e apparente e il suo dissenso continuo e convinto. Gli altri due, più o meno, se la prendevano anche con il segretario del partito Angelino Alfano per non avere puntato abbastanza, o abbastanza in tempo, i piedi contro i tentennamenti, i rinvii e altro ancora di Berlusconi e della sua cerchia più ristretta. Ma lo spettacolo che più stupisce del Pdl non è quello pur deludente delle primarie ritardate e raffazzonate, affollate solo di candidati. Uno dei quali, il finanziere Alessandro Proto, contestato da Alfano dopo le notizie che lo danno, a torto o a ragione, indagato d'aggiotaggio e truffa, ha parlato di «fuoco amico». Cioè ha accusato misteriosi colleghi di partito di avere stimolato i magistrati che a sua insaputa - dice- stanno occupandosi di lui. E questi magistrati evidentemente di essersi lasciati stimolare a uso interno del Pdl, per cui si dovrebbe poter parlare di toghe azzurre. E non più soltanto delle tante, più datate e più certe toghe rosse, fra le quali ce ne sono state anche di oneste, a modo loro. Che hanno riconosciuto di essersi fatte condizionare dalle loro passioni ideologiche, chiamiamole così. E lo hanno raccontato in libri preziosi per chi avesse ancora la voglia di capire il peso avuto dalla magistratura nella caduta della cosiddetta prima Repubblica, al netto naturalmente di tutti gli errori commessi da quella classe dirigente con il finanziamento illegale dei partiti. Di tutti i partiti, con la sola e lodevole eccezione di quello radicale, e quindi anche di quanti riuscirono a farla franca, o quasi, nei tribunali. Più ancora delle primarie, dicevo, e dei contorcimenti o delle liti che ne stanno accompagnando la tardiva preparazione, sconcerta la perdurante indifferenza del Pdl e dei suoi dirigenti, salvo poche eccezioni, di fronte alla prospettiva di riorganizzare l'area dei moderati, dei conservatori, dei liberaldemocratici, chiamateli come preferite se non volete parlare più di centrodestra, attorno a Mario Monti. Senza bisogno, per fortuna, di candidarlo al Parlamento, visto che ne fa e continuerà a farne parte da senatore a vita, ma sostenendone la conferma a presidente del Consiglio dopo le elezioni. Se i numeri parlamentari naturalmente lo consentiranno. Cioè, se l'unica coalizione oggi esistente in vista del rinnovo delle Camere, quella di Pier Luigi Bersani e Nichi Vendola, dovesse raccogliere il maggior numero dei voti ma non la maggioranza assoluta dei seggi parlamentari. L'indifferenza di fronte a questo scenario - coltivato anche da Luca Cordero di Montezemolo e riproposto ieri da Pier Ferdinando Casini e da Gianfranco Fini, dopo il maldestro tentativo della sinistra di strumentalizzare a proprio favore la sostanziale raccomandazione fatta il giorno prima dal capo dello Stato a Monti di rimanere fuori dalla mischia elettorale, essendo la nomina del presidente del Consiglio una prerogativa del presidente della Repubblica - condanna all'emarginazione il Pdl. E ancora di più il partito, o qualcosa di simile, che Berlusconi dovesse veramente decidere di fare al posto di quello che ha fondato e tuttora presiede, visto che continua a farne scrivere e parlare da interpreti, o indovini, presunti o veri, dei suoi pensieri, o umori. Interpreti, o indovini, che non si rendono conto del pericolo che corre il Cavaliere non accorciando ma aumentando le distanze da Monti. Il pericolo di fare esattamente il gioco dei suoi peggiori avversari. I quali, dopo avere coltivato il sogno ignobile di vederlo finire in galera, o sulle gradinate di qualche Chiesa a «chiedere l'elemosina», secondo un'espressione a lungo attribuita a Massimo D'Alema prima ch'egli si decidesse a smentirla, accarezzano ora l'idea di chiuderlo in un angolo politico come in un ghetto. L'antiberlusconismo rischia insomma di sopravvivere alla seconda Repubblica e di diventare il collante della terza, come l'antifascismo lo fu della prima e l'anticomunismo lo è stato elettoralmente della seconda, invocato non a torto da Berlusconi, nel suo esordio politico, di fronte al disinvolto tentativo dell'allora Pds-ex Pci di seppellire gli altri sotto le macerie del muro di Berlino, limitandosi per conto suo a cambiare nome e simbolo della ditta, e di raccogliere così il potere perduto per via giudiziaria dai vecchi avversari. Se proprio fosse costretto dai risultati elettorali a fermarsi sulla soglia di Palazzo Chigi, senza poterla varcare, a una sola condizione Bersani, al di là dei comizi, sembra disposto a lasciarvi Monti con un altro governo: se Berlusconi restasse fuori dalla maggioranza. Che senza di lui non sarebbe più «spuria», come lo stesso Bersani dice di quella attuale. È un piacere, ripeto, che incredibilmente certi amici del Cavaliere sembrano disposti a fare al segretario Pd.

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