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L'obiettivo del Prof: smontare Pd e Pdl

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Appello ai «cespugli» riformisti

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Quandoieri il presidente del Consiglio dimissionario Mario Monti si è presentato davanti ai giornalisti per la tradizionale conferenza stampa di fine anno non aveva di certo in mente il leader del Pd, né quello del Pdl. Non erano loro l'obiettivo delle sue parole. Certo, da politico navigato quale ormai è, il Professore sa che, a meno di clamorose sorprese, le prossime elezioni verranno vinte dal centrosinistra. Quindi è stato ben attento, mentre attaccava a testa bassa Silvio Berlusconi, a non chiudere la porta in faccia ai Democratici con cui, eventualmente, sarebbe disponibile a dialogare dopo il voto. Ma tutto questo non cambia il dato di fondo. A due mesi di distanza dalle elezioni era impossibile aspettarsi applausi calorosi da chi, Bersani, si sente già con un piede a Palazzo Chigi, o da chi, Alfano, considera il premier alla stregua di un «traditore». E Monti evidentemente non li ha cercati. Il suo obiettivo, in parte dichiarato, è sembrato piuttosto quello di lanciare nel dibattito politico una «bomba» che faccia deflagrare tanto il Pd quanto il Pdl. Non a caso, in uno dei passaggi del suo discorso, ha parlato di «cespugli di volontà riformista» presenti al centro, a destra e a sinistra. È a loro che il Professore ha teso la mano. Ma per ora la risposta è stata piuttosto tiepida. Infatti, oltre allo scontato appoggio dei cosiddetti moderati, il premier ha incassato pochi sostegni isolati. Tra questi quello di Giuliano Cazzola: «Per le linee generali tracciate dalla sua conferenza stampa, aderisco pienamente e mi rendo a disponibile. Vale la pena battersi per le cose che ha detto. Sono montiano fin dalla prima ora anche se ho avuto da criticare il governo su alcuni singoli punti, tuttavia credo che il tema dell'Europa sia il centro del cambiamento». Il parlamentare eletto nelle liste del Pdl traccia anche un identikit di quelli che, assieme a lui, potrebbero lasciare il partito per seguire il premier: «Penso a quelli che nelle ultime settimane hanno votato la fiducia a Monti, così come il gruppo di Comunione e Liberazione e il gruppo parlamentare europeo di Mario Mauro». Montiano convinto anche il Democratico Pietro Ichino che senza mezzi termini dichiara: «Sono disponibile a candidarmi per una lista Monti e a guidarla, in Lombardia, come nel resto d'Italia». Peccato che entrambi siano ormai da considerare come «oggetti estranei» rispetto ai loro partiti di appartenenza. E l'impressione è che in pochi seguiranno la loro strada. Infatti, ammesso che esista un «gruppo di Comunione e Liberazione» identificabile come area politica all'interno del Pdl, la realtà sembra molto diversa da come la racconta Cazzola. «Monti aveva una grande opportunità, unire i moderati anziché dividerli. Peccato sia sceso in campo secondo la peggiore tradizione della politica italiana. Chiaro solo nell'attacco a Berlusconi e al Pdl, enigmatico su tutto il resto» è il commento di Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, cresciuto nel movimento ecclesiastico fondato da don Luigi Giussani. Lui, quindi, non sarà della partita. Ed è un dato tutt'altro che irrilevante visto che Lupi è stato anche tra gli animatori dell'iniziativa promossa dai «montiani» del Pdl una settimana fa a Roma. Potranno forse subire delle defezioni, ma il nocciolo duro resterà al fianco del Cavaliere. In fondo perché dovrebbero andarsene? Le incognite su un futuro al fianco di Monti sono sicuramente di più della certezza di poter tornare in Parlamento e eventualmente combattere una battaglia all'interno del proprio partito. Così, anche Franco Frattini, pur spiegando che sosterrà «i punti dell'Agenda Italia», si augura che «il Pdl progetti il suo programma di governo in funzione di questa continuità: senza rinnegare la linea adottata nei mesi di governo Monti, ma rafforzando ulteriormente quelle riforme». Stessa posizione per Paolo Gentiloni: «Se il Pd dilapidasse i risultati e i sacrifici conseguiti dal governo Monti commetterebbe un errore». Tutti e due insomma, piuttosto che rompere, si augurano che i rispettivi partiti abbiano una accettabile tasso di «montismo». Chi invece se ne va sono quattro parlamentari democratici di ormai ex «tendenza fioroniana». È il senatore Lucio D'Ubaldo a dare la notizia: «Io, Benedetto Adragna, Flavio Bertoldi e Giampaolo Fogliardi siamo fuori dal Pd. Sicuramente ci saranno consiglieri comunali, regionali che ci seguiranno». E Giuseppe Fioroni? Lui ha deciso di restare. Vorrà pur dire qualcosa.

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