L'anomalo Walter
Maanomalo di certo si può dire del primo ed ex segretario del Pd anche per il modo in cui ha voluto e saputo ieri congedarsi, nel finale anticipato e convulso di questa legislatura, dalla Camera. Dove, al netto dell'esperienza capitolina di sindaco di Roma, ha trascorso 17 dei suoi 57 anni di età. E dove sarebbe sicuramente tornato con le elezioni di febbraio se lui lo avesse voluto, chiedendo la deroga prevista dallo statuto del suo partito per candidarsi ancora. Dubito tuttavia che quello pronunciato ieri sia da ritenersi il discorso di congedo vero di Veltroni dal Parlamento. Il buon senso vorrebbe che la sinistra, se veramente tornerà al governo, come tutti i sondaggi e gli errori degli avversari lasciano prevedere, non rinunciasse a fare riparlare Veltroni nelle aule parlamentari come ministro. E con il consenso -vorrebbe ancora il buon senso- anche del rottamatore Matteo Renzi, finalmente consapevole di non avere preceduto ma seguito Veltroni nella concezione di un partito di sinistra riformista a "vocazione maggioritaria". Espressione, questa, coniata proprio da Walter rompendo con la sinistra massimalista. Che egli però commise l'imprudenza nelle elezioni del 2008, molto più anticipate di queste che stanno sopraggiungendo, di sostituire con un alleato destinato a rivelarsi non meno massimalista della sinistra ancora dichiaratamente e orgogliosamente comunista: Di Pietro. Ma questo è il passato. Di cui giustamente proprio Veltroni ha ieri riconosciuto, per altri versi, che "ha bisogno di verità per chiudersi" davvero. La piacevole anomalia politica dell'ex sindaco di Roma nel congedo dalla sua funzione di deputato sta soprattutto nella distanza che egli ha voluto prendere dai maggiorenti del suo partito sul tema delicatissimo dei rapporti con Monti. E lo ha fatto senza perdere gli applausi dei compagni implicitamente criticati, a cominciare dal suo eterno concorrente, o addirittura rivale, Massimo D'Alema. Che peraltro aveva già dovuto, suo malgrado, seguirlo nelle scorse settimane sulla strada della volontaria rinuncia alla candidatura, dopo avere inutilmente cercato di resistere al ricambio reclamato da Renzi. Su Monti, in particolare, Veltroni ha detto che sarebbe "intellettualmente disonesto non riconoscergli il valore a ragione delle sue scelte future". Cioè quale punto di riferimento politico ed elettorale dei moderati che non si riconoscono né nello schieramento dei cosiddetti progresssisti allestito da Bersani con Vendola, né in quello di centrodestra spacchettato e riconfezionato da Berlusconi. Si nota, e come, la differenza dalle reazioni astiose, o invettive, di Bersani e di D'Alema. I quali hanno contestato al presidente del Consiglio pre-dimissionario, rispettivamente, la natura "personale" e "moralmente discutibile" della sua nuova fisionomia, politica e non più soltanto tecnica.