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Bersani fa la morale a D'Alema su Monti

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Il segretario lo richiama: «Sarà il premier a decidere se candidarsi e noi lo rispetteremo»

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PierLuigi Bersani sembra aver capito che è inutile temere la candidatura del Professore, spingere affinché decida di non scendere in campo. Il pressing esterno è così forte che non serve opporsi. Anche perché chi si oppone al Professore in Italia è immediatamente percepito come una minaccia all'estero. Così non è un caso che nel giorno in cui vola a Bruxelles per incontrare il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, quello della Commissione europea Josè Manuel Barroso e quello dell'Eurogruppo Jean Claude Juncker, il leader Pd mostri tutto il suo «montismo». Criticando, anche se velatamente, la recente uscita di Massimo D'Alema che aveva definito «immorale» un'eventuale candidatura di Monti. Ieri l'ex premier ha inviato una lettera al Corriere della Sera per ribadire che il Professore «è una risorsa per il Paese» e non deve essere «sprecato» in «un'operazione elettorale che rischia di dividere» e che «apparirebbe difficilmente comprensibile per una larga maggioranza degli italiani». Ma Pier Luigi la pensa un po' diversamente. «Non è una questione di moralità - spiega -. Deciderà quello che riterrà opportuno e sarà sempre rispettato da noi. Per come vedo le prospettive del Paese la terzietà di Monti e il non essere nella contesa mi era sembrata la cosa più utile». In ogni caso, prosegue, «siamo interessati in ogni caso ad avere un rapporto interlocutorio con Monti qualsiasi decisione prenda. Faremo la campagna elettorale sostenendo le nostre prospettive, contro nessuno, noi non vogliamo litigare con nessuno». E conclude: «Sono due anni che dico che i progressisti devono vincere queste elezioni e che devono avere uno sguardo molto aperto verso tutte le forze europeiste e moderate che sono poste a contrastare le derive populiste». Insomma, è chiaro che Bersani punta a conquistare Palazzo Chigi da solo («È abbastanza normale che chi vince le elezioni debba avere l'incarico di governo»), ma è altrettanto chiaro che occorra avere un piano B. Indispettire il Professore non fa parte di questa strategia. Meglio convincere i partner europei che il vero pericolo è Silvio Berlusconi e che anzi, con il Pd al governo, «l'agenda Monti» è al sicuro. «Ho ribadito a Barroso - sottolinea il leader Pd - il nostro impegno assoluto a mantenere i patti sottoscritti dall'Italia con l'Europa. Abbiamo sostenuto finora il governo Monti ma ho sottolineato l'esigenza che dentro questi patti ci sia un'attenzione particolare al lavoro e alla crescita». Mentre Juncker, al termine del faccia a faccia, commenta soddisfatto: «Nell'incontro con Bersani ho espresso l'idea che sarebbe il miglior interesse per l'Italia e l'eurozona se il processo di riforme cominciato da Monti continuasse magari con qualche variazione dopo le elezioni. E penso che stiamo andando nella stessa direzione». L'impressione è che Bersani abbia convinto i suoi interlocutori. Ora non gli resta che convincere i suoi. A partire dall'alleato, rigorosamente anti-montiano, Nichi Vendola, fino a chi, come il responsabile economico del Pd Stefano Fassina, assicura: «Monti ministro dell'Economi nel prossimo governo di centrosinistra? Il prossimo ministro dovrà condividere l'"agenda Bersani" e non credo che Monti possa essere la figura più coerente per quel ruolo». Non sarà facile, per Pier Luigi, riuscire a tenere insieme l'eventuale vittoria elettorale con la possibilità di dialogare con i moderati filo-Professore. Ma forse nemmeno Bersani crede a questa ipotesi. Al momento la sua unica, incrollabile certezza è che il Cavaliere non ce la farà: «Ho detto a Juncker di dire al mondo che Berlusconi non vincerà». E, magari, imitando Giovanni XXIII, suo incrollabile riferimento culturale, gli avrà anche detto di dare al mondo una carezza. La «carezza di Pier Luigi». Nic. Imb.

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