Nel fronte dei centristi scoppia il caso del veto a Fli
Montianidella prima ora sui carboni ardenti, dunque, visto che Udc e Fli ancora non hanno saldato l'asse o perfezionato l'intesa con l'altro pilastro dello schieramento, Montezemolo e la sua composita formazione Verso la Terza Repubblica. Una macchina complessa, sottoposta a stress test ulteriori, come l'apparente ostracismo del presidente delle Acli Andrea Olivero nei confronti di Gianfranco Fini e di Fli. Dalle parti dell'Udc la cosa viene ridimensionata: c'è chi dice che «tanto alla fine a decidere su quel lato è Montezemolo in persona» e c'è chi addirittura arriva più in alto, ricordando l'appello del cardinal Angelo Bagnasco a non dividersi quando la casa brucia. «Il problema -dice il coordinatore Fli Roberto Menia- è che a volte a parlare sono i più antipolitici di tutti. Quindi, aldilà di qualche fastidiuccio che ipotesi o voci di veti possono provocare, il dato di fatto è che, senza l'iniziativa di Fini e Fli, Berlusconi sarebbe ancora a palazzo Chigi e Monti sarebbe un illustre professore. E noi continueremo a rivendicare di aver favorito e poi determinato la chiusura di una fase politica e l'avvio di una fase nuova».È un problema, comunque, che tra Montecitorio e palazzo Madama gli esponenti di Fli e Udc considerano di portata limitata. «La strada più logica -sostiene Menia- sarebbe quella di un documento-manifesto con i punti della sua azione da portare avanti nella prossima legislatura. Non c'è bisogno che lui si candidi, essendo senatore a vita». Per dirla con Giampiero D'Alia, «noi candidiamo un programma», poi il professore deciderà «in autonomia». Sul piano tecnico-formale, comunque, la strada dell'unità delle forze di centro sembra segnata: al Senato, senza una lista unica per superare lo sbarramento all'8%, nessuno ce la fa. Alla Camera, invece, «si può lavorare a liste distinte, ognuna con il proprio simbolo, ma riunite in una coalizione che si richiama all'agenda Monti».