Il partito delle toghe si è già spaccato
Oggi il Csm decide sulla richiesta di aspettativa. Laboccetta (Pdl): «Calpesta le istituzioni»
i.Ma lui è stato chiaro: comunicherà la sua scelta solo venerdì 21 dicembre. No, non si sta parlando di Mario Monti. Il protagonista dell'ultima telenovela della politica italiana è Antonio Ingroia, già procuratore aggiunto del pool di Palermo che indaga sulla trattativa Stato-mafia e, da qualche settimana, inviato in Guatemala dall'Onu per svolgere un importante incarico anti-corruzione. Il Guatemala, appunto. Un impegno che Ingroia aveva preso terribilmente sul serio al punto di mollare i suoi colleghi siciliani proprio mentre l'inchiesta stava entrando nel vivo, con la richiesta di rinvio a giudizio di alcuni imputati eccellenti come gli ex ministri Nicola Mancino e Calogero Mannino. Senonché sembrerebbe che all'entusiasmo iniziale sia subentrato in breve tempo un inaspettato attacco di saudade, con una serie di viaggi lampo in Italia per partecipare a quasi tutti gli appuntamenti con i quali l'ex pm Luigi De Magistris, ora sindaco di Napoli, sta lanciando la sua lista nazionale, il «Movimento arancione». Della combriccola dovrebbe presto far parte un altro ex togato, quel Tonino Di Pietro che, rifiutato a più riprese da Bersani, si è trasferito armi e bagagli nel cosiddetto «quarto polo». Dopo un lungo tira e molla, con De Magistris in pressing su Ingroia per convincerlo a candidarsi premier con gli «arancioni», quest'ultimo sembra aver preso una decisione, o almeno così farebbe ritenere la richiesta inviata al Csm affinché gli sia concessa l'aspettativa elettorale. E benché Ingroia si diverta a far lievitare sempre più la suspance («non ho ancora deciso, venerdì saprete», scriveva ieri nel suo «Diario dal Guatemala» su Il Fatto), la notizia ha già provocato numerose reazioni. Prevedibilmente astiose nel Pdl («calpesta le istituzioni e ci fa fare una brutta figura con l'Onu», ha accusato il deputato Amedeo Laboccetta), freddine nel Pd: «Ormai ai magistrati che tolgono e mettono la toga con facilità siamo abituati», ha detto Roberto Giachetti, «vedranno gli elettori cosa fare». Ma, a sorpresa, a schierarsi contro il pm di Palermo è anche Il Fatto. Lo stesso giornale che ne ospita quotidianamente il «Diario» e che lo ha sostenuto senza ripensamenti nello scontro istituzionale con il Colle a causa delle telefonate di Napolitano intercettate. Il direttore Antonio Padellaro ha scritto ieri un fondo dal titolo «Meglio magistrato che candidato». Nel quale, pur comprendendo «la legittima voglia di rivincita» di Ingroia contro chi lo ha «attaccato e vilipeso per aver compiuto il suo dovere quando altri preferivano voltarsi dall'altra parte», invita il magistrato a non commettere un «duplice errore» che si ripercuoterebbe «sulla sua immagine e sulle indagini di cui è stato protagonista accanto ad altri coraggiosi colleghi». A rafforzare il concetto, nella versione on line del quotidiano, il blog di Peter Gomez, coautore di diversi libri con Travaglio, che per giustificare la sua posizione cita una frase del pm di Mani Pulite Piercamillo Davigo quando rifiutò un'offerta di candidatura nel centrodestra: «Non trovo giusto che chi fa l'arbitro o il guardalinee si tolga la giacchetta per indossare la maglietta di una delle squadre in campo». Due «diffide» che probabilmente Ingroia non si aspettava e che forse lo indurranno a desistere dalla discesa in campo. Intanto, oggi pomeriggio, il Plenum del Csm voterà sulla sua richiesta di aspettativa, già approvata all'unanimità dalla IV Commissione. In più si deciderà se inserire nel suo fascicolo personale la «censura» per il discorso pronunciato nel congresso del Pdci dello scorso ottobre, quando Ingroia si definì «partigiano della Costituzione». A dimostrazione che, candidato o meno, la divisa da arbitro il magistrato se l'è già tolta da molto tempo.