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Alla fine Pier Luigi Bersani è esploso: «Non posso accettare critiche su questo - ha detto - perché il nostro statuto parla del 10% di deroghe e noi in direzione abbiamo discusso di qualcosa come il 3

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Siè passato il segno. Perché se ne parla solo per il Pd? Andate a chiedere agli altri partiti come selezioneranno i loro parlamentari». A ben rifletterci, il segretario del Pd non ha tutti i torti. Le dieci deroghe concesse a chi ha più di 15 anni in Parlamento (Rosy Bindi, Giuseppe Fioroni, Gianclaudio Bressa, Anna Finocchiaro, Franco Marini, Mariapia Garavaglia, Angelo Agostini, Giorgio Merlo, Giuseppe Lumia e Cesare Marini), peraltro con l'obbligo di passare attraverso la selezione delle primarie, sono poca cosa rispetto alla platea di candidati dei democratici per le prossime elezioni. Il vero nodo, semmai, sta in un'altra piega del regolamento, quella che prevede il posizionamento in lista dei vari vincitori delle primarie. Fino a ieri si sapeva che attraverso le consultazioni che si terranno il 29 eil 30 dicembre sarà scelto il 90% degli aspiranti parlamentari. Il restante 10%, una cinquantina di nomi, sarà invece costituito dal cosiddetto «listino» del segretario, che avrà anche il potere di scegliere i 47 capilista. Con la pubblicazione del regolamento sul sito primarieparlamentaripd.it, però, si è scoperto un altro particolare interessante. Una volta terminata la consultazione, la posizione in lista dei vincitori sarà decisa dalla Direzione nazionale. Qualora un nome sgradito al segretario dovesse essere votato dai militanti, potrebbe benissimo essere posizionato in fondo all'elenco cancellando, di fatto, le sue possibilità di entrare in Parlamento. Sulle effettive chance di vincere le primarie per chi non fa strettamente parte dell'apparato c'è poi da dubitare. Perché alla consultazione potranno partecipare solo i parlamentari uscenti (e quindi «nominati» cinque anni fa) e coloro che siano riusciti a raccogliere un numero di firme pari al 5% degli iscritti Pd 2011 in almeno tre circoli del partito in un determinato ambito provinciale. Impresa piuttosto ardua per chi non ha radicamento territoriale. Come i vari Realacci, Giachetti o Adinolfi che, pur non obbligati a presentare firme in quanto parlamentari uscenti, faticheranno a concorrere in termini di voti con i vari ras delle segreterie provinciali. Una situazione nella quale si trovano, guarda caso, molti di quelli che hanno sostenuto la corsa di Matteo Renzi contro il segretario. Una serie di paletti che ha spinto Beppe Grillo a definire sul suo blog «buffonarie» le consultazioni organizzate dal Partito Democratico. Tra le altre regole, meno controverse, c'è l'obbligo di esprimere due preferenze di genere diverso per avere almeno un 40% di presenze femminili, e quello di versare almeno due euro per poter votare. Con gli organizzatori che si augurano una presenza alle urne di un milione di militanti, sarebbero altri due milioni di euro da aggiungere agli oltre sei raccolti il 25 novembre scorso. Un po' di malcontento nello stesso Pd è sorto invece per i tempi strettissimi imposti alla consultazione: «Nessuno sa come sia possibile fare una campagna elettorale durante le festività», ha accusato il consigliere regionale lombardo Pippo Civati.

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