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di Marlowe Sarebbe molto facile e popolare aderire al nazionalismo che pervade il centrodestra, e sotto traccia anche il Pd tendenza Vendola, per gli endorsement sempre più espliciti di Berlino, Bruxelles e Parigi a favore di Mario Monti.

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Macome si permettono i tedeschi di dirci per chi dobbiamo votare, dopo averci assegnato i compiti a casa e sottoposto all'elettroshock dello spread? Domanda legittima per l'opinione pubblica, e che non sorprende né noi né questo giornale, che quando i tedeschi si sono fatti i loro interessi in Europa lo abbiamo ampiamente scritto e documentato. Ma domanda, stavolta, che andrebbe ribaltata e rivolta ai partiti e ai leader che si contendono il dopo-Monti, o le spoglie di Monti. Non solo il Cavaliere. Che cosa stanno facendo, con quali credibili programmi si presentano alle elezioni, per meritarsi la fiducia di un'Europa sempre più interconnessa con l'Italia, con la nostra economia, con la vita quotidiana, come abbiamo imparato in questo durissimo anno? La trama di «Berlusconi - Il ritorno» non è neppure nota. Il trailer, invece, lo abbiamo visto: effetti speciali sul complotto ordito da Angela Merkel e la Deutsche Bank per estromettere il Cavaliere da palazzo Chigi. Colonna sonora con il nuovo jingle «Che ci frega dello spread». Per il resto, promessa di abolizione dell'Imu, e nuova squadra e modulo in campo: giovani, imprenditori, dirigenti. I primi nomi circolati non sono rassicuranti: non per la Merkel, per noi. Ironia del destino, tra spread e Imu c'è una stretta connessione: cento punti del primo costano all'anno tre miliardi di maggiori interessi. Cifra che equivale al gettito Imu sulla prima casa. Quindi dello spread ci deve fregare, eccome. Il problema però è il campo di calcio nel quale il Cavaliere vorrebbe giocare il suo match: contro l'Europa, contro l'euro, contro la perfida Germania. Si potrebbe anche fare se non fossimo iscritti a questo torneo, quello appunto europeo, del quale abbiamo accettato regole, onori e oneri. E quali oneri: l'Italia versa ogni anno all'Unione europea 14,34 miliardi, terza dietro Germania e Francia, ma più della Gran Bretagna. Questa è la nostra quota di iscrizione. Vogliamo giocarcela tutta uscendo dal campo e portando via la palla, dopo avere sprecato per decenni i fondi Ue che oggi vanno ai paesi dell'Est che ci sottraggono quote di produzione, nell'auto e non solo? Le pressioni della Germania ci sono, e forti, e ieri alla Merkel si è aggiunto il ministro delle Finanze Wolfgang Schauble. Ed è vero che la Germania si muove spesso come un elefante in cristalleria: a maggio la Cancelliera voleva fare campagna in Francia per Sarkozy, le fu detto di tenersi alla larga, e alla fine all'Eliseo è andato il socialista Hollande. Anche allora i francesi si offesero, ma nessuno si sognò di evocare complotti: eppure le guerre tra Francia e Germania hanno segnato due secoli di storia contemporanea, mentre su di noi grava ancora l'ombra dell'asse con Hitler. Ma torniamo alla cronaca: perché Hollande, un socialista d'apparato e non propriamente un fulmine di guerra, ha sconfitto il candidato della Merkel restando comunque interlocutore a pieno titolo - alleato talvolta, avversario spesso - della Cancelliera? Semplice: perché ha accettato di sfidare la Germania sul terreno comune dell'Europa, con le regole e i programmi europei, su una linea di sinistra ma senza demagogia né promesse di miracoli. Risultato: la Francia, che ha la finanza pubblica messa quasi peggio dell'Italia, un debito di poco inferiore, un deficit più elevato, nessun avanzo di bilancio, non ha l'incubo dello spread e riesce a finanziarsi sul breve termine a tasso zero, quasi come i tedeschi. I quali non hanno inviato oltre il Reno le panzerdivisionen. Ieri il Cavaliere ha rimesso le ali della colomba, è sembrato avere un sussulto di saggezza, o di pragmatismo, affermando di essere pronto a ritirare la candidatura (e si spera anche la dichiarazione di guerra alla Germania, all'Europa e allo spread), se Mario Monti scenderà in campo con i moderati di centrodestra. Vedremo. Molto ovviamente dipenderà da Monti. Ma non soltanto da lui. Perché il problema - e speriamo che il Cavaliere se ne stia rendendo conto - non è solo e tanto Berlusconi, ma l'intera offerta di programma dei partiti italiani. Del Pdl o di ciò che resta, abbiamo detto. Ma qual è la merce esposta dal Pd? La riassumiamo: «Grande svolta a sinistra» (copyright Massimo D'Alema); rottamazione di Monti e delle sue riforme, a cominciare dalle due citate espressamente da Pier Luigi Bersani: pensioni e lavoro; una bella patrimoniale sugli immobili - forse il segretario democratico non si è accorto che il mercato delle case sta andando a picco, un crollo che ieri l'Istat ha quantificato nel 25 per cento - in cambio di non meglio precisati sgravi per altrettanto vaghe «fasce deboli». Il tutto con sopra la ciliegina rancida della solidarietà. Ancora non comprendiamo come mai, mentre il centrodestra promette miracoli irrealizzabili, la sinistra si ostina a non dire agli elettori che cosa esattamente vuol fare. Barack Obama nella trattativa sul bilancio americano ha detto in campagna elettorale e poi al partito repubblicano di quanto e su chi propone di aumentare le aliquote fiscali, e quanti miliardi di dollari vuole destinare alla riforma sanitaria. E nella politica Usa non mancano sparate e colpi bassi: ma tutto si svolge alla luce del sole. La nostra sinistra no: nel pacchetto ci sono solidarietà e «squadroni di governo», e tanto basta. Bersani non è stato investito delle bordate di fischi e insulti come il Cavaliere. Ma neppure da applausi scroscianti. Proprio Hollande, al quale l'aspirante premier del centrosinistra ha detto di volersi ispirare, ha invece fatto anche lui un chiaro endorsement per Monti. Non è strano? E da settimane non solo i governi ma i money maker dei mercati internazionali si interrogano su come la sinistra italiana potrebbe ridurre l'enorme debito e la spesa pubblica italiana, pur con tutte le patrimoniali di questo mondo. Il che ci riporta inesorabilmente allo spread, questo convitato di pietra che ci farà compagnia ancora per molto tempo, nonostante le sparate berlusconiane e le amnesie bersaniane. Se 100 punti di spread valgono quanto l'Imu sulla prima casa è perché l'Italia ha 2 mila miliardi di debito pubblico, che nel 2012 ci è costato 80 miliardi di solo «servizio», cioè di interessi. Quanto al 2013, il nostro paese resterà l'emittente numero uno dell'eurozona, con 388 miliardi di titoli che dovranno essere messi in asta contro i 352 della Francia ed i 257 della Germania. Di questi, secondo uno studio di Nomura, 200 saranno Btp a lungo termine, cioè di dieci anni e oltre: quelli sui quali si misura lo spread. La Francia ne emetterà per 190 miliardi; la Germania per 160. Ciò significa che lo Stato dovrà farsi prestare soldi superando la concorrenza di due paesi più grandi, importanti e solidi di noi. E non si potrà sbagliare un'asta: ieri, pur nel fantasy che è finora stato l'inizio della campagna elettorale, il Tesoro è riuscito a collocare Bot a tassi in calo di 31 punti, su una richiesta doppia dell'offerta. In una sola mattinata si sono quindi risparmiati 20 milioni l'anno. Com'è stato possibile questo piccolo miracolo in mezzo al bailamme? Magari perché chi compra si fida ancora di Monti?

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