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Napolitano apre all'election day Voto probabile il 10 marzo

Parlamento

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In Lazio, Lombardia e Molise si voterà il prossimo 10 marzo. E in quella stessa data, se sarà stata approvata la nuova legge elettorale, si terranno anche le Politiche per il rinnovo del Parlamento. Il via libera all'election day è arrivato dal Quirinale al termine di un vertice durato alcune ore tra il capo dello Stato Giorgio Napolitano, il premier Mario Monti e i presidenti di Camera e Senato, Gianfranco Fini e Renato Schifani. Di fatto è stata accolta la linea del Popolo delle Libertà, che si era fermamente opposto all'ipotesi di votare per le Regionali il 10 febbraio e tornare alle urne solo due mesi dopo per le Politiche. Una circostanza che avrebbe comportato un esborso maggiore per lo Stato di qualche decina di milioni di euro. Il Pdl, per bocca dello stesso Berlusconi, si era spinto a minacciare la crisi di governo. Ora, invece, dalle parti di via dell'Umiltà possono tirare un sospiro di sollievo: «Si va verso l'election day. Prevale il buon senso. Prevalgono le nostre buone ragioni. Risparmiati cento milioni», ha scritto su Twitter Angelino Alfano. A rendere possibile la mediazione è stata la sentenza del Consiglio di Stato che ha parzialmente accolto il ricorso di Renata Polverini contro la decisione del Tar che, lunedì scorso, aveva imposto alla governatrice del Lazio di indire le elezioni entro cinque giorni. Una sospensione dettata dalla necessità di esaminare la questione in una Camera di Consiglio che si terrà il prossimo martedì 27 novembre. In base a questa sentenza, la data del 10 febbraio non è stata più tassativa e la trattativa è potuta ripartire. «La convocazione di elezioni per il rinnovo dei Consigli regionali scioltisi in Lazio, Lombardia e Molise, pur non spettando al presidente della Repubblica, è regolata da diverse normative regionali», scrive il Quirinale nella nota redatta al termine del vertice, «è però indubbia, per valutazioni d'interesse generale, l'esigenza di un contestuale svolgimento delle elezioni nelle tre Regioni. Si è a tale proposito ritenuta appropriata la data del 10 marzo 2013». Fin qui il discorso sul voto locale. Ma Napolitano ha aperto anche alla possibilità di un accorpamento con le Politiche. Ponendo però paletti ben precisi. Innanzitutto ha parlato di «adempimenti ineludibili» riferendosi a «l'approvazione finale in Parlamento della legge di stabilità e quindi quella della legge di bilancio per il 2013». Poi è tornato sul punto cruciale affrontato più volte negli ultimi mesi: la nuova legge elettorale. «L'esigenza di regole più soddisfacenti per lo svolgimento della competizione politica e a garanzia della stabilità di governo, e le aspettative dei cittadini per un loro effettivo coinvolgimento nella scelta degli eletti in Parlamento, rendono auspicabile la conclusione del confronto in atto da molti mesi sulla riforma elettorale». Si tratta di un «quid pro quo»: se i partiti faranno i compiti, approvando le leggi economiche e cambiando le regole del voto, il presidente della Repubblica è disposto a sciogliere anticipatamente le Camere (l'ipotesi è intorno al 10-15 gennaio), anche per evitare «un affannoso succedersi di prove elettorali» sconsigliato «dalla serietà dei problemi che il Paese ha di fronte» che meritano piuttosto «una costruttiva conclusione della legislatura». A quel punto, Napolitano preferirebbe rimettere il mandato con alcune settimane di anticipo per concedere al suo successore il compito «politico» di incaricare il nuovo presidente del Consiglio. Un percorso virtuoso che, però, rischia di scontrarsi con la capacità dei partiti di approvare per tempo la nuova legge elettorale. Di fatto, le principali forze politiche sono ancora molto distanti sui punti chiave della riforma - preferenze, premio di maggioranza e soglia per accedervi - e difficilmente dalla commissione Affari costituzionali del Senato uscirà un testo condiviso. A quel punto, anche se Pdl, Udc e Lega dovessero far valere i propri numeri rassicuranti a Palazzo Madama, la situazione sarebbe più in bilico alla Camera, dove peraltro sulla questione è ammesso il voto segreto. «Allo stato dei lavori sulla legge elettorale non mi sembra di poter dire che oggi l'election day è più vicino», ha ammesso Stefano Ceccanti del Pd. L'ipotesi estrema potrebbe essere l'intervento del governo con un decreto per modificare almeno i punti salienti della legge - soglia e preferenze - ma in quel caso ci sarebbero 60 giorni per convertire il dl in legge. Basteranno? L'accelerazione imposta da Napolitano cambia in ogni caso il quadro degli schieramenti e delle strategie dei partiti verso le elezioni. Subito dopo la notizia della svolta, infatti, il segretario della Lega Roberto Maroni si è affrettato a specificare che «il dialogo con il Pdl non si è mai interrotto, e la prospettiva di un election day apre scenari interessanti». Proprio nel centrodestra un ulteriore dibattito si infiammerà sulle primarie, che secondo il calendario stilato si concluderebbero con una convention a fine febbraio, a pochi giorni dal voto. Cancellarle o anticiparle, magari fancendole svolgere in un'unica data come quelle del Pd? Alfano è atteso da altri giorni complicati.

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