Così Berlusconi disfa la sua tela
Diversamente dalla Penelope omerica, Silvio Berlusconi non aspetta la notte per disfare il sudario tessuto di giorno, come faceva appunto la moglie di Ulisse per ingannare i proci, in attesa di quella tela per succedere al marito, nel letto e sul trono. Si sa come finì. L'astuzia di Penelope fu rivelata dopo quattro anni da un'ancella infedele, che tuttavia non salvò i proci dalla fine che li aspettava: il ritorno del re sotto le spoglie di un mendicante, che li trafisse in una spietata gara dell'arco. Non voglio, per carità, paragonare i cento e più proci omerici di Itaca ai vari pretendenti, nel Pdl e dintorni, alla successione a Berlusconi, magari camuffati da sostenitori della sua insostituibile leadership e interessati a indicare in altri gli infedeli o traditori. Di cui reclamano le dimissioni o la rimozione dagli incarichi per rivendicare a parole la propria fedeltà al Cavaliere, ma in realtà per liberarsi anzitempo di fastidiosi concorrenti ad una successione fisiologicamente destinata comunque a maturare. O ad esplodere, secondo le circostanze, in un botto che potrebbe devastare tutti e tutto. Voglio solo dire, o immaginare, ripeto, che il Cavaliere, diversamente da Penelope, non aspetta la notte per disfare la tela della sua successione fatta di giorno: la tela delle rinunce, dei passi indietro e dell'accettazione più o meno rassegnata delle primarie programmate dal fiducioso segretario del partito Angelino Alfano. Volente o nolente, per calcolo o d'istinto, poco importa a questo punto, egli disfa già di giorno la sua tela. Senza sotterfugi. In trasparenza assoluta e disarmante. È così accaduto che ieri il Cavaliere, tornando a smentire gli apprezzamenti espressi per iscritto il 24 ottobre scorso e a voce il giorno dopo, ha liquidato come «disastrosi» gli effetti dell'azione del governo tecnico di Mario Monti, succedutogli l'anno scorso, dopo il passo indietro -ha detto- che «mi hanno fatto fare» sotto l'incalzare della speculazione finanziaria internazionale contro i titoli di Stato italiani. Eppure è solo e proprio attorno ad una positiva valutazione dell'azione del governo Monti, e all'auspicio che possa continuare nella prossima legislatura, magari con una edizione più politica e meno tecnica del Gabinetto ministeriale allestito un anno fa, che è forse possibile ricostruire buona parte dell'area di quello che è stato per circa diciotto anni il centrodestra. Lo dimostrano i tanti convegni di area moderata e centrista che si stanno svolgendo da tempo. Fra i quali va annoverato quello in programma oggi ad iniziativa di Luca Cordero di Montezemolo. La ricostruzione di quello che ci siamo abituati a chiamare centrodestra è stata d'altronde sollecitata anche ieri dallo stesso Berlusconi con un energico richiamo a Pier Ferdinando Casini a rientrarvi, a non essere «un manca parole assoluto», visto che lui -il Cavaliere- gli ha concesso quella rinuncia a ricandidarsi a Palazzo Chigi che gli era stata chiesta. Ma Casini è l'uomo che da più tempo e a voce più alta dice «Monti dopo Monti», in polemica anche con il segretario del Pdl Pier Luigi Bersani. Che ne vorrebbe invece negoziare l'appoggio per assumere dopo le elezioni, in caso di vittoria, la guida del nuovo governo. Certo, con molta buona volontà, e probabilmente non a torto, si potrebbe vedere nel giudizio negativo espresso dal Cavaliere sugli «effetti» dell'azione di Monti il riconoscimento di un'attenuante. Il riconoscimento cioè di uno stato di necessità costituito da «una politica economica imposta dall'Unione Europea e soprattutto dall'egemonia tedesca, che non è solidale, non pensa al bene di tutti ma al bene di se stessa»: una politica, peraltro, alla quale anche Berlusconi, nella fase conclusiva del suo ultimo governo, accettò di pagare pegno. Ma quel giudizio negativo sui risultati del governo Monti resta lo stesso come un macigno sulla strada di una ricostruzione dell'area moderata, viste le posizioni delle forze in campo e di quelle in via di formazione. Berlusconi ha purtroppo disfatto ieri la sua tela anche sul terreno, non certo secondario, della Lombardia. Dove, in vista del rinnovo anticipato del Consiglio regionale, mettendosi in rotta di collisione con la candidatura dell'ex sindaco di Milano ed eurodeputato del Pdl Gabriele Albertini, è tornato a sostenere il rinnovo dell'alleanza con la Lega. Eppure egli ne aveva contestato pochi giorni fa, per il ruolo già ottenuto dal Carroccio ai vertici del Piemonte e del Veneto, l'aspirazione alla presidenza. Che si è tradotta nella candidatura, pesante e ufficiale, del segretario del partito in persona: Roberto Maroni.