Col Prof in campo si apre una nuova stagione politica
Lefibrillazioni politiche degli ultimi giorni sono da ricondursi all'attesa di una parola definitiva del premier sul proprio futuro. Bersani ha dichiarato che, nel caso di vittoria del centro-sinistra, il governo si atterrà all'agenda Monti e garantirà un «ruolo decisivo» all'attuale premier. Berlusconi, dal canto suo, ha prospettato la possibilità di un suo ritiro dalla corsa per la premiership qualora Monti fosse disposto a guidare una coalizione dei moderati per contrastare il centro-sinistra e ha ribadito pubblicamente l'invito a scendere in campo anche nella riunione del Ppe a Bruxelles. Le due offerte, quella di Bersani e quella di Berlusconi, sono, in realtà, frutto di una medesima strategia. Sono due facce di una stessa medaglia. Dietro si celano, per un verso, il tentativo di utilizzare elettoralmente il patrimonio di credibilità legato a Monti - magari separando, come ha fatto il Cavaliere, il liberalismo del premier dai risultati del suo governo - e, per altro verso, l'obiettivo di mettere in soffitta, a urne chiuse, la figura ingombrante del professore. È più che intuitivo, infatti, che il «ruolo decisivo» cui ha fatto cenno Bersani è poco più che di boutade. Il segretario del Pd ha voluto, forse, offrire a Monti il ministero dell'Economia o, in alternativa, la poltrona del Quirinale? Potrebbe darsi, visto che ha più volte dichiarato di voler tenere per sé Palazzo Chigi, ma entrambe le ipotesi non vanno oltre il gioco accademico. È inimmaginabile l'ipotesi di Monti alla guida dell'economia nazionale all'interno di un governo Bersani-Vendola, di un governo cioè nel quale abbia parte una forza politica che esprime una visione antitetica alla sua. L'altra ipotesi, quella di Monti al Quirinale, equivarrebbe a una «imbalsamazione» del professore in un ruolo istituzionale ridimensionato dal ritorno della politica, ovvero preluderebbe a una stagione conflittuale tra presidenza della Repubblica e governo. Ma anche l'offerta di Berlusconi non ha motivazioni diverse dal tentativo di imbrigliare e canalizzare verso il centro-destra la credibilità di Monti né, soprattutto, prospettive migliori dal momento che non è concepibile, sul piano logico, che egli possa ritrovarsi a guidare una coalizione all'interno della quale le pulsioni populiste e antieuropeiste abbiano largo spazio. La situazione è quella descritta. Ed è una situazione che vede, ancora, contrapposte categorie, come quelle di «destra» e «sinistra», ormai superate dalla storia e destinate a finire fra le «buone cose di pessimo gusto» del gozzaniano salotto di nonna Speranza. Né, tale situazione, la mutano i patetici e interessati inviti dei gruppuscoli e movimenti i quali, pure, si appellano a Monti offrendogli la leadership di un nuovo partito di centro, la cui funzione dovrebbe essere quella - sempre in una logica vecchia di gestione del potere - di fungere da ago della bilancia della politica nazionale. Una logica di conservazione dello status quo del sistema politico. Eppure, la discesa in campo di Monti, auspicata ieri anche da Angela Merkel e dai vertici del Ppe, potrebbe rappresentare davvero una risposta all'ansia di rinnovamento del Paese ed essere l'inizio di una fase nuova della storia italiana capace di relegare in soffitta le contrapposizioni ideologiche del passato. Ma sarebbe necessario, per questo, che il «partito di Monti» nascesse non come adesione agli inviti mossi al premier da più parti politiche, ma come iniziativa autonoma e aperta: una piattaforma programmatica, centrata su stabilità e sviluppo, attorno alla quale potrebbero ritrovarsi tanti italiani indipendentemente dalle loro provenienze e storie politiche.