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Uno spettro si aggira per le stanze della sede del Pd: quello di Achille Occhetto e della sua «gioiosa macchina da guerra».

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Ariportare le lancette dell'orologio democratico indietro fino al 1994 è la sensazione, frustrante, che qualsiasi sforzo, qualsiasi invenzione, sia semplicemente inutile. Pier Luigi Bersani ha mostrato un po' di questa frustrazione ieri, presentandosi per una conferenza stampa nella sede della Stampa Estera. Non deve essere stato un bel risveglio il suo. Mercoledì la segreteria del Pd aveva dato il via libera alle primarie per scegliere i prossimi candidati alle Politiche. Una novità assoluta nel panorama italiano. Roba da prima pagina sui quotidiani nazionali. Peccato che l'ennesimo predellino di Silvio Berlusconi abbia spazzato via tutto. «Mi verrebbe la tentazione di fare un po' di giravolte - sottolinea Bersani - visto che basta una giravolta di Berlusconi per fare le prime pagine dei giornali. Sono esterrefatto. Berlusconi non vincerà, cerca di salvare il salvabile e di mettersi al centro della scena. Il risultato, però, è che i problemi veri finiscono a pagina 14 e le chiacchiere tornano in prima. Non intendo fare la prossima campagna elettorale su Berlusconi sì e Berlusconi no. Gli italiani decideranno e lo faranno perdere. Noi ci occupiamo dell'Italia». Insomma il leader Pd è certo che il Cavaliere non vincerà le elezioni. E Mario Monti? Già, perché, mentre Pier Luigi si agitava per spiegare ai giornalisti stranieri che è lui l'uomo giusto per il futuro dell'Italia, a Bruxelles il Ppe, cioè chi governa il motore economico e politico dell'Unione, incoronava il Professore. Non proprio una buona notizia per i Democratici anche perché la candidatura del premier, se ci sarà, diventerà inevitabilmente alternativa al centrosinistra fondato sull'asse Pd-Sel. Al Nazareno si oscilla tra l'incredulità per ciò che è successo e il desiderio di capire finalmente quali sono le intenzioni di SuperMario. Bersani insiste sull'opportunità che resti «fuori dalla mischia», ma visto che forse questo non accadrà, meglio giocare d'anticipo. Se Monti si candida, spiega il leader Pd intervistato dal quotidiano tedesco (e moderato) Die Welt, «rispetteremo la sua scelta e segnaleremo la nostra volontà di collaborare». E non si tratta dell'unica dichiarazione «montiana» in una giornata in cui Pier Luigi sembra dimenticare la sua alleanza con Nichi Vendola. Il Professore, assicura, «deve continuare ad avere un ruolo per il nostro Paese. Il rigore e la credibilità di Monti nel mondo sono per noi un punto di non ritorno. Io ci voglio mettere più riforme di quante fatte da Monti, perché per farle ci vuole una maggioranza politica e coesa». Persino sull'articolo 18 Bersani non ha dubbi: «Lo lasceremo così come è. È uguale a quello tedesco». Mentre a chi avanza dubbi sulla possibilità che dal voto esca una maggioranza coesa risponde: «Sono sicuro che non ci sarà ingovernabilità, perché in qualsiasi condizione numerica siamo disponibili ad un dialogo con le forze di centro europeiste e costituzionali». Tradotto: cari partner per stare tranquilli non avete bisogno di Monti, bastiamo noi. Concetto che il segretario ribadirà già stasera ai leader europei e mondiali riuniti a Roma per la prima conferenza (domani) dell'alleanza dei progressisti. Mercoledì, invece, Bersani sarà a Bruxelles per incontrare il presidente del consiglio europeo Herman Van Rompuy e quello dell'Eurogruppo Jean Claude Juncker. L'impressione è che tutto questo girare come una trottola, alla fine, potrebbe risultare inutile.

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