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Il Pd fa l'americano sulle tasse E vuole la patrimoniale

Il segretario del Partito Democratico Pier Luigi Bersani

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Il primo discorso del presidente americano Barack Obama dopo la rielezione che rilancia l'aumento della tassazione per i redditi superiori ai 250.000 dollari, equivale a uno sdoganamento di quella patrimoniale da sempre avversata dal centrodestra e guardata con sospetto anche da una parte del Pd. «Yes, we can» è stata la reazione a caldo tra i democratici, «sì, finalmente ora si può fare» perchè se lo ha detto Obama, se è la ricetta giusta per abbattere il deficit con una soluzione di equità, non facendo pagare il costo solo al ceto medio, allora potrebbe funzionare anche in Italia. Tanto più che a voler tassare i ricchi non c'è solo Obama. Anche il francese Hollande ha proposto una tassazione del 75% per chi ha redditi superiori al milione di euro. A fronte di cotanti sponsor, chi mai potrebbe obiettare che la patrimoniale è la vecchia ossessione della sinistra più ortodossa? Ecco quindi che dal Pd è tutto un peana a favore di un'imposta che «stritoli» i ricchi. Francesco Boccia, che del Pd rappresenta l'ala moderata, non ha più dubbi: «Spero che le parole di Obama servano affinché chi ha di più paghi di più. La patrimoniale non è un tabù». Boccia ha riproposto nel corso della discussione sulla legge di Stabilità, la patrimoniale temporanea, per tre anni, sui redditi oltre 1,2 milioni l'anno. Il liberal Morando va oltre; la patrimoniale la farà la sinistra se andrà al governo. «In Italia - dice Morando - va riequilibrato il carico fiscale, ciò che Monti non poteva fare per ragioni oggettive, considerata la sua maggioranza». Il leader di Sel Vendola ha nel suo programma di tassare al 45% i redditi fra 70 e 200 mila euro. Con una stangata vera e propria su chi guadagna fra 70 e 75 mila euro, che oggi viene tassato al 41% (subirebbe un aumento di 4 punti), mentre fra 75 e 200 mila euro il maggiore prelievo fiscale rispetto ad oggi sarebbe di 2 punti percentuali (dal 43 al 45%). Come spesso accade le soluzioni elaborate in altri Stati per sconfiggere il deficit vengono prese in Italia come se fossero una panacea e senza guardare alle differenze di contesto economico e in questo caso, fiscale, in cui si collocano. Obama porta l'aliquota marginale che riguarda i percettori di redditi sopra i 250.000 dollari annui dal 33 al 39,6%. Da un recente studio del New York Times emerge che dei 400 americani più ricchi (con un reddito medio di 270 milioni), 30 (i più ricchi) pagano appena il 10 per cento di tasse e il resto in media il 15 per cento. Obama raccoglie l'eredità fiscale lasciata da Regan. Regan negli ultimi anni del mandato, stabilì una soglia limite degli scaglioni di reddito attorno ai 30.000 dollari con un'aliquota del 28%: tutto quello che si guadagnava in più veniva tassato con la stessa aliquota richiesta ad un operaio qualificato. È in quel periodo che si moltiplicano le ricchezze multimiliardarie e prende piede la finanziarizzazione selvaggia che ha avuto gli esiti che oggi tutto il mondo sta pagando. La grande stagione dell'America, in cui la crescita economica andava di pari passo con quella sociale e con l'espansione del benessere fra i ceti medi, era proprio quella in cui le tasse erano a livelli che oggi farebbero rabbrividire qualsiasi benpensante anche in Italia. Nell'Italia degli anni '70 c'erano già aliquote molto alte. L'Irpef, istituita nel 1973, al momento della nascita, aveva 32 aliquote (dal 10 al 72%) e agiva per scaglioni di reddito dai 2 fino ai 500 milioni di lire (tenendo conto dell'inflazione, corrispondono a 15.000 e 3,75 milioni di euro). L'aliquota minima è lievitata fino a oltre il 20% e quella massima è scesa al 43%. Facendo un confronto con la situazione americana mentre Obama vuole portare l'aliquota massima al 39,6%, quella italiana più alta che viene applicata ai redditi oltre i 75.000 euro è al 43%. Quindi è già molto elevata. Anche per i redditi tra 55.000 e 75.000 euro, l'aliquota è al 41%. Quindi le imposte in Italia sono elevate e di certo non giustificherebbero un intervento al rialzo con una patrimoniale. Coloro che invocano la ricetta di Obama per i ricchi, forse dimenticano che questa si coniuga con un sistema fiscale in cui l'evasione è colpita duramente e soprattutto non è così diffusa come nel nostro Paese. L'evasione fiscale in Italia secondo le stime più recenti è pari a 120 miliardi di euro. Ma c'è anche chi si spinge a parlare di 250-275 miliardi. Cioè se si recuperasse tutta l'evasione nazionale si potrebbe ridurre di botto il debito pubblico del 5%, oppure cancellare in un colpo solo l'intero debito della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese. L'evasione fiscale negli Usa è stimata a solo il 9% (in Italia è quattro volte superiore) ed è un reato molto grave. Basti pensare che il sanguinario Al Capone finì in galera proprio perchè colpevole di questo crimine. Ne esistono tre fattispecie: quella più grave è il mancato versamento volontario delle tasse e prevede sino a 5 anni di carcere e multe sino a 100mila dollari.

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