Il Cav all'assalto di Monti No alla fiducia Così ricompatta il Pdl
Il partito non vota i decreti alla Camera e al Senato. Frattini tra i 4 «dissidenti»
IlPdl ieri si «sfilato» prima al Senato, astenendosi nel voto sul decreto Sviluppo (che a palazzo Madama vale comunque come voto contrario) poi alla Camera, dando di nuovo l'astensione. Con quattro deputati che comunque hanno deciso di votare in dissenso: Frattini, Mantovano, Cazzola e Malgieri. Una linea dettata da Silvio Berlusconi, tornato prepotentemente in campo, e alla fine accettata da Angelino Alfano. Il quale, a fine serata, ha fatto calare il sipario anche sulle primarie: «Oggi Berlusconi mi ha espresso la volontà di tornare in campo da protagonista. È lui il detentore del titolo. Le primarie erano per la successione, ma essendoci lui in campo non ha senso farle». Poi il segretario ha giustificato la posizione tenuta in Parlamento: «Non abbiamo fatto precipitare i fatti: se lo avessimo voluto avremmo dato oggi la sfiducia al governo. Invece abbiamo fatto una scelta di responsabilità dando un segnale chiaro al governo». Ma all'esecutivo il segretario del Pdl ha dato anche rassicurazione che il suo partito voterà il decreto stabilità. L'attacco al governo è arrivato prima in Senato, subito dopo le parole del ministro Corrado Passera che intervenendo in mattinata alla trasmissione Agorà su Rai Tre aveva criticato Berlusconi: «Tutto ciò che può solo fare immaginare al resto del mondo, ai nostri partner, che si torna indietro, non è un bene per l'Italia. Dobbiamo dare la sensazione che il Paese va avanti». Una frase «incendiaria» che ha scatenata la reazione del Pdl a palazzo Madama e spinto i senatori a lasciare l'aula, facendo restare solo alcuni di loro per garantire il numero legale. E dando la possibilità di far approvare il decreto. Nel pomeriggio la parola è passata alla Camera, dove la fiducia era sul testo dei Costi della politica. Stesso copione, con il Pdl deciso all'astensione e il decreto che alla fine è stato approvato. Ma la «rabbia» del Pdl non è esplosa solo per le parole di Corrado Passera. A dare la spinta all'assalto al governo è stato il decreto sull'incandidabilità, che Berlusconi vede come il fumo negli occhi. Così, dopo aver deciso di scendere di nuovo in campo, ieri ha sferrato l'attacco a Monti. Durante il vertice-fiume del pomeriggio a palazzo Grazioli («sequel» di quello di mercoledì) il Cavaliere avrebbe chiarito le sue intenzioni, sottolineando i pro e i contro della sua scelta, ormai quasi irrevocabile. Esprimendo amarezza e delusione per i «voltagabbana» che per paura di perdere un seggio sono saliti di corsa sulla zattera del Pdl alla deriva anche a costo di rinnegarlo. Berlusconi è consapevole che non tutti sono convinti della sua scelta ma ha anche garantito di non avere alcuna intenzione di spacchettare il partito. Perché questo, avrebbe spiegato, è il momento di restare uniti per sfidare la sinistra. Il Pdl insomma resta in piedi, ma va rifondato, la nomenklatura è salva, gli ex di An non vanno da nessuna parte. Almeno per ora. Dovranno invece cambiare nome e simbolo. Il Cavaliere avrebbe chiesto ai suoi di autarlo a cercare un nuovo «marchio di fabbrica», di maggiore appeal e incisività. Una richiesta che ha lasciato sorpresi molti dei presenti, perché ha dato l'impressione che ci fosse un ripensamento anche sul logo Forza Italia. In realtà sembra che Berlusconi non abbia ancora deciso e il «minisondaggio» fatto ieri servirebbe solo a prendere ancora tempo sulla scelta grafica e politica del simbolo della nuova coalizione di centrodestra. L'obiettivo dell'ex premier resta quello di creare con chi ci sta un nuovo contenitore, una coalizione di centrodestra con varie forze politiche dentro, alleata anche con la Lega al Nord e alternativa al blocco Pd-Sel. Così, convinto di aver ricompattato il partito, l'ex premier avrebbe dettato la linea da tenere con Monti, minacciando di staccargli la spina a breve. Anche se Alfano, in serata, ha garantito responsabilità: «Non metteremo a repentaglio la legge di stabilità per il bene del Paese e sulla fine della legislatura decideremo nei prossimi giorni». Ma la nuova discesa in campo di Berlusconi ha diviso tutta l'area degli ex di An. Non hanno condiviso la scelta di ricandidarsi gli uomini che sono legati al sindaco Alemanno, e Giorgia Meloni. Insieme contestano la mancata convocazione dell'Ufficio di presidenza per decisioni così importanti, anche per sciogliere il nodo delle primarie. L'ex ministro della Gioventù è stata categorica su twitter: «Considero la ricandidatura di Berlusconi un errore». E restano un po' delusi i falchi che fanno capo a Ignazio La Russa (come Corsaro e Beccalossi), decisi a fare una «nuova cosa nera». Soddisfatti invece tutti coloro che fanno parte dell'area di Matteoli, convinti della «necessità di restare uniti attorno alla leadership del Cavaliere». Angelino Alfano, invece, è stato costretto a una retromarcia, perché da una parte ha subito il «ritorno» di Berlusconi e dall'altra ha incassato la sconfitta sulle primarie, da lui fortemente volute fino alla fine. Pa. Zap.