di Gennaro Malgieri È sempre una sofferenza votare in dissenso dal proprio gruppo politico in Parlamento.
Nonho tenuto conto di questioni di coscienza, come mi è capitato in passato, ma di una certa idea del "bene comune" che, magari non sempre riuscendoci, ho cercato di rincorrere nel corso della mia ormai non più breve esperienza parlamentare. E così tra l'aderire alla disposizione del Pdl - non motivata, né giustificata preventivamente, ma appresa soltanto attraverso un laconico messaggio telefonico - di astensione e l'intima convinzione che un voto di fiducia sarebbe stato coerente con l'atteggiamento assunto dal novembre dello scorso anno, ho scelto la seconda pur sapendo di dispiace amici e colleghi, oltre che deludere il presidente Fabrizio Cicchitto che, lealmente, avevo avvertito della decisione che avrei assunto, ma da quel gentiluomo che è mi ha quasi sollevato con un sorriso. Il fatto è che non potevo subordinare il mio voto alle ragioni "politiciste", intimamente connesse alle difficoltà del Pdl, senza venir meno ad un impegno di lealtà nei confronti del governo stesso dal centrodestra fin qui sostenuto su un provvedimento peraltro già votato dalla mia parte - sui costi della politica - e migliorato sensibilmente con l'intelligente attività di proposte ed emendamenti dei deputati del mio gruppo. Non intendo, ovviamente, rivendicare una coerenza che spesso umanamente vacilla, ma ribadire un principio che la politica non dovrebbe smarrire: costi quel che costi, un impegno assunto di fronte al Paese non può essere messo in discussione per ricavarne una dubbia utilità da giocare su altri piani al fine di guadagnare ancor più dubbi vantaggi nella competizione con gli avversari e, talvolta, nella complessa partita istituzionale. Sapevo bene che il mio dissenso non avrebbe cambiato gli equilibri e che il voto di astensione del Pdl non avrebbe provocato danni irreparabili. Tuttavia una decorosa compostezza (che non è sinonimo di debolezza) anche nell'opporsi o nel marcare la presenza parlamentare da parte di un soggetto responsabile, dovrebbe trattenere dalle tentazioni di piegare le istituzioni a fini che nulla hanno da spartire con il corretto svolgimento della dialettica politica. Posso dire che si tratta di tener presente il senso dello Stato a dispetto delle esigenze (per quanto comprensibili, e spesso non lo sono) della fazione? Credo, in tutta coscienza, che perfino l'assunzione di una posizione parlamentare piuttosto che di un'altra rimandi a quell'etica della politica che non può venire meno soprattutto nei momenti in cui le oggettive avversità mettono a dura prova le compagini partitiche. John F. Kennedy descrisse in termini assolutamente inequivocabili gli atteggiamenti controcorrente dei politici che egli definì "Profili del coraggio" - titolo del celeberrimo libro del presidente (che si disse ispirato dal conservatore Barry Goldwater che gli era amico, nonostante tutto) pubblicato in Italia gli inizi degli anni Sessanta dalle Edizioni del Borghese - quando facevano valere l'interesse generale sui vantaggi di parte. Si riferiva anche a misconosciuti presidenti e parlamentari statunitensi dell'Ottocento che si fecero travolgere pur di non venir meno al principio di assecondare il bene comune piuttosto che incamerare voti con provvedimenti demagogici e certo dannosi alla nazione. Dunque, il mio voto, caro direttore, sarà dispiaciuto a qualcuno, ma credo, come quelli degli onorevoli Frattini, Cazzola, Mantovano ed altri pure "in dissenso", immagino (o m'illudo) abbiano fatto bene ad un mondo politico che un tempo era ingessato ed oggi è sul punto di implodere per l'eccessivo tatticismo di chi al più alto vertice lo rappresenta e che con i suoi ondivaghi atteggiamenti ha creato sconcerto ed ha allontanato la ricomposizione di quell'aggregazione moderata che, paradossalmente, è ancora maggioritaria nel Paese. Tanto per non girarci intorno, la ridiscesa in campo di Berlusconi, nel momento in cui tutti si attendevano un vero e proprio rinnovamento del centrodestra, ha gettato scompiglio nelle file del Pdl ed ha quasi paralizzato le energie migliori e più dinamiche che avevano assecondato il processo avviato proprio dal Cavaliere nel luglio dello scorso anno quando indicò in Alfano sostanzialmente il suo successore. Non vorrei che per rompere l'incantesimo, si sia immaginato di scompaginare gli assetti politici e governativi, mettere fine alla "strana maggioranza" per assestare un colpo proprio al partito e magari rimotivarlo. Se è così si è commesso un errore colossale, dalle conseguenze che non tarderanno a manifestarsi in termini di credibilità interna ed internazionale del Pdl e con le ricadute economiche le cui avvisaglie si sono dispiegate subito dopo il voto del Senato ieri mattina. Ero e resto convinto che una buona politica si costruisce senza ricorrere alle scorciatoie. Non si può pensare, per dirla tutta, che evitando l'approvazione di una decente legge elettorale ci si mette al riparo da conseguenze nefaste. Non è credibile che una battaglia di scarsissimo peso come quella che si sta combattendo sull'election day possa ridare smalto ad un partito che l'ha perso. Ed è inane immaginare la ricomposizione di un quadro che che è andato in frantumi con espedienti che sanno tanto di vecchia politica. Ogni avventura comincia con le idee. Se mancano nulla le può sostituire, tantomeno i surrogati che non hanno neppure il potere di tranquillizzare le coscienze. A tutto questo ho pensato annunciando il mio voto in dissenso e le poche parole pronunciate mai mi sono sembrate tanto inadeguate.