Liste e poltrone. Comincia la Bersaneide
Il segretario dovrà costruire il «suo» governo senza deludere chi lo ha sostenuto alle primarie
Nessunanovità significativa rispetto a domenica sera: Pier Luigi Bersani al 60,65%, Matteo Renzi al 39,35%, con oltre 2 milioni e 700mila votanti. Che tradotto in voti assoluti significa 1.662.909 per il leader Pd e 1.078.776 per il sindaco di Firenze. Insomma, a Renzi mancherebbero circa 25mila voti rispetto al primo turno, ma mancando ancora 270 seggi da scrutinare, si può ragionevolmente dire che Matteo è riuscito, a differenza di ciò che poteva sembrare in un primo momento, a riportare alle urne tutti i suoi elettori. Chi ha fatto il balzo in avanti, quindi, è Bersani cui è riuscita perfettamente l'operazione di traghettare dalla proprio parte i voti di chi non è arrivato al ballottaggio. Un'operazione che, alla vigilia, non sembrava affatto facile. E che ora, però, rischia di trasformarsi nel punto debole della sua corsa verso Palazzo Chigi. Uscito rafforzato dalle primarie, il leader democratico deve infatti lavorare per costruire quello che ha già definito come il «governo del cambiamento» (anche generazionale). Lui ha assicurato che non sarà fatto con «il manuale Cencelli», ma è indubbio che Bersani dovrà fare in modo di non deludere nessuna delle anime della coalizione che lo ha portato al successo. Il primo della lista è ovviamente Nichi Vendola che ieri, riunendo i suoi per fare il punto dopo le primarie, ha ribadito che dai gazebo esce una chiara indicazione «a sinistra» che «seppellisce l'ipotesi di un Monti bis». I voti di Sel sono stati sicuramente determinanti per il successo di Pier Luigi come dimostrano gli ottimi risultati delle tre città governate dagli «uomini» del governatore (Milano, Genova e Cagliari), ma anche della Puglia. Cosa succederà ora? Nichi sarà vicepremier? È presto per saperlo, ma la trattativa è sicuramente avviata. Così come quella che, si dice, potrebbe portare Laura Puppato verso un incarico da ministro. Mentre sullo sfondo resta un altro nodo da sciogliere: il ruolo di Renzi. Ieri il leader del Pd ha ribadito che non ci saranno ticket. «Matteo - ha spiegato - è una risorsa come tutti, sta nel nostro squadrone». Ma l'impressione è che difficilmente il sindaco si lascerà coinvolgere nell'avventura di un governo nato da un patto Pd-Sel. Chi gli ha parlato dice che la sua linea per ora non cambia: «Torno a fare il sindaco e il militante. Non voglio nessun ruolo, né costruire una mia corrente. Ma chi ha vinto rappresenti anche gli altri senza inciuci». L'idea è di ottenere una rappresentanza renziana all'interno delle liste, mentre i comitati nati durante questa campagna elettorale, come ha spiegato Roberto Reggi, non verranno smantellati. Anche perché potrebbero servire qualora Matteo decidesse di tentare la scalata al partito. Per ora non ne ha alcuna intenzione e preferisce rimanere a guardare sperando, magari, che siano gli altri a doverlo cercare. In termini ovviamente più ampi, ma anche Bersani, dopo l'ottima prova delle primarie, ragiona così: «Guardino il resto del paesaggio politico italiano e provino a riflettere se non sia il caso di venirci a cercare anziché farci le pulci». Il riferimento è ovviamente a Pier Ferdinando Casini che se da un lato si complimenta per la «bella prova di partecipazione e una bella vittoria», dall'altro attacca: «Mi sembra che abbiano fatto la scelta di procedere con Vendola alle prossime elezioni. Naturalmente la nostra è un'opzione diversa». Molto dipenderà dalla legge elettorale con la quale si andrà a votare. Un altro nodo che Bersani dovrà sciogliere per non rischiare di rimanere schiacciato.Nic. Imb.