Sono le 20.14 quando il Tg1 rivela il primo istant pool effettuato sul risultato delle primarie: Bersani al 61,5%, Renzi al 38,1.
Alcomitato romano di Bersani in via Montecatini esplode l'entusiasmo, la portavoce Alessandra Moretti distribuisce abbracci, Paola Concia non rifiuta neanche un'intervista, vengono stappate bottiglie, non c'è una persona che non sorrida. È lo specchio fedele di un successo dalle proporzioni inaspettate. Oltre mezzo milione di voti di scarto, quasi a mettere a tacere le polemiche su quegli oltre centomila elettori a cui non è stato dato il permesso di esprimersi. Anche se avessero scelto tutti Renzi, il risultato non sarebbe cambiato. E che sia stato un trionfo lo rivendica lo stesso segretario quando alle 22.21 arriva al Teatro Capranica per la festa davanti al popolo che l'ha sostenuto: «Sono molto soddisfatto, non pensavo di ottenere questi numeri». «Ma - aggiunge con una punzecchiatura a Renzi - personalmente non mi sono mai agitato». Il «principale competitor», come lo chiama Bersani, compare nel discorso del segretario solo dopo sei minuti, dopo i ringraziamenti a Puppato, Tabacci e Vendola («ha voluto farmi sentire il profumo di sinistra, ma se non me lo sentissi ogni giorno addosso non mi riconoscerei). A Renzi Bersani concede di «aver portato con la sua freschezza un grande contributo a queste primarie». Ma poi il sindaco fiorentino resta senza carezze. «Io lo so benissimo che nel centrosinistra ci sono diverse visioni - spiega il segretario - ma non dobbiamo mai dimenticare che dall'altra parte c'è la destra». E per rendere ancora più esplicito il concetto Bersani spiega che «ora dobbiamo alzare l'asticella per la prossima battaglia. Cioè dire che vogliamo vincere ma non a qualsiasi prezzo. Non dobbiamo raccontare balle, noi dobbiamo usare un'altra chiave rispetto alla demagogia». Con chi ce l'abbia è facile intuirlo. Fatto sta che se Bersani vorrà davvero arrivare a Palazzo Chigi dovrà andare a chiedere i voti anche ai renziani. Fa un primo passo spiegando di voler avviare un grande rinnovamento nel centrosinistra, «creerò gli spazi per la nuova generazione», e si prende tanti applasi. E poi guarda ancora oltre, immaginando una coalizione di progressisti «con un forte profilo di governo». E per dare a se stesso già l'immagine di premier riconosciuto a livello internazionale svela che oggi sarà in Libia per incontrare il nuovo premier e «ridare all'Italia il ruolo che merita nel mediterraneo». Basterà questo per convincere i rottamatori? Per adesso le istantanee che arrivano dal Teatro Capranica sono per i renziani tutt'altro che rassicuranti. In platea c'è infatti tutto quello stato maggiore che loro avrebbero voluto rottamare, da D'Alema alla Bindi, da Franceschini a Fioroni. In realtà il segretario ne ha anche per loroquando spiega che «la mia più grande soddisfazione, ancor più del risultato, è l'aver voluto queste straordinarie primarie, averle volute testardamente. Ricordatevi che non dobbiamo mai perdere la fiducia nel nostro popolo». Ogni riferimento ai big che erano contrari è assolutamente voluto. Ma, per sfortuna di Bersani, più delle sue parole parlano le immagini e la musica. D'Alema mostra orgoglioso i risultati elettorali nel suo fortino pugliese e, contemporaneamente, gli altoparlanti mandano Vasco che canta «Eh già, sembrava la fine del mondo, ma sono ancora qua». Qualche minuto dopo arrivano Fioroni e la Bindi e dalle casse lo stesso Vasco intona «Noi siamo i soliti». Come se la rivoluzione renziana fosse già solo un pallido ricordo. Come se la restaurazione avesse trionfato. Occorrerà assolutamente scrollarsi di dosso quell'immagine di «vecchiume». Anche perché dall'altra parte c'è un «nemico» che, in fondo, sperava proprio nella vittoria del segretario. Berlusconi stava aspettando i risultari delle primarie del Pd per valutare una nuova discesa in campo. Dopo ieri sera, forse, sta già allacciandosi gli scarpini.