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Moavero, tessitore silenzioso del vertice di Bruxelles

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Aguidare questo processo da «capo sherpa», così si chiamano i tecnici che mettono nero su bianco le bozze che poi i capi di governo discutono e sottoscrivono, è stato in questi ultimi giorni il ministro per gli Affari Europei, Enzo Moavero. Uno dei personaggi meno appariscenti del governo, ma in questo momento uno dei più attivi. A chi lo segue giornalmente non è sfuggita proprio nelle settimane di preparazione del vertice di Bruxelles la spola tra Roma e Bruxelles. Per la sua profonda conoscenza dei meccanismi della macchina europea ha silenziosamente preparato il terreno per una vittoria della linea Monti nei confronti di quella del rigore intransigente dei paesi del Nord Europa. Moavero, che non ama la ribalta e le dichiarazioni ad effetto, è una sorta di alter ego giuridico per il premier che lo ha avuto a fianco come principale collaboratore a Bruxelles per nove anni. Una specie di Gianni Letta, dal tono e dallo stile sobrio e felpato, che lavora sodo e in silenzio. Una rarità nel mondo mediatico politico che non disdegna di apparire e lanciare dichiarazioni roboanti a cui spesso non fanno seguito operazioni concrete. Uno stile di basso profilo ma fortemente produttivo. L'andata e ritorno quasi giornaliera tra Bruxelles e la Capitale dell'avvocato specializzato in diritto internazionale ha creato una ragnatela fitta di contatti sul dossier ra Monti e la Commissione. Un lavoro di cesello tecnico che ha posto le premesse per il successo. E gli agganci a Bruxelles non mancano a Moavero. Nel 2002, nel pieno del mandato di Monti alla Concorrenza, viene nominato segretario generale aggiunto della Commissione Europea. Dal 2005 al 2006 è direttore generale dell'Ufficio dei Consiglieri per le Politiche Europee della Commissione. Insomma uomo giusto al posto giusto. Fil.Cal.

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