Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

I tedeschi imparino che l'Europa non si governa solo con lo spread

default_image

  • a
  • a
  • a

MarioMonti, dopo una vita da mediano di lusso, ieri notte si è scoperto attaccante e ha segnato ad Angela Merkel un goal che può valere un campionato. Se la contemporanea doppietta inflitta alla Germania di Joachim Löw dall'altro Mario, Balotelli, gli abbia dato il morale giusto, è magari esagerato crederlo davvero. Ma ci piace pensarlo. Non siamo stati certo noi italiani ad aver trasformato gli Europei di calcio in una prova assoluta di superiorità non solo calcistica, ma sociale, etica, economica e forse di qualche cos'altro. Sono stati i giornali tedeschi, dai tabloid ai più paludati, a definire quella che era una semifinale, uno scontro simbolico tra «pizzaioli» e «uber alles»: adesso devono accettarne le conseguenze. Gli abbiamo rifilato due pizze: ma non è stata né la vittoria dei poveracci né la sconfitta dei nibelunghi. Prima i tedeschi tornano alla ragione e cominciano a separare la politica dall'economia, l'economia dalla finanza, gli interessi loro da quelli degli altri, l'informazione dalla propaganda e lo sport dai destini nazionali, meglio è: per noi, e soprattutto per la Germania. Durante il Novecento, il «secolo breve» delle ideologie, totalitarismi e guerre, abbiamo avuto, subìto e anche partecipato a quelle perverse commistioni. Siamo partiti con le Olimpiadi di Parigi del 1924, i primi veri giochi moderni, il cui romanticismo è tramandato da «Momenti di gloria», e dopo solo dodici anni ci fu Berlino, destinati a celebrare il nazismo in tutti i suoi aspetti. Un certo Jesse Owens andò a rompere le uova nel paniere del Fuhrer e di Joseph Goebbels, il ministro della Propaganda. Nel calcio, la nostra nazionale vinceva due Mondiali salutando romanamente. Nel dopoguerra, nel '56 a Melbourne, le nazionali di pallanuoto di Unione Sovietica e Ungheria si affrontarono a pugni e insulti fuori e dentro l'acqua mentre i carri armati dell'Armata Rossa schiacciavano Budapest. Roma 1960 furono i primi giochi a lanciare un segnale di pace e speranza in un mondo che aspirava al benessere e alla democrazia: ma - come ha documentato un recente saggio del giornalista del Washington Post David Maraniss, vincitore del premio Pulitzer - tra i pugni a stelle e strisce di Cassius Clay ed i salti con la falce e martello di Valeri Brumel, la Cia ed il Kgb erano freneticamente al lavoro qui in Italia sulla Guerra Fredda, e da lì a poco sarebbero venuti il Muro di Berlino ed i missili di Cuba. Tutto questo per dire che lo sport non è mai stato estraneo né alla politica né alla propaganda. Trascurando i vari boicottaggi, anche gli ultimi mondiali di calcio in Sudafrica lo furono. Ciò che ha sconcertato tutti è che i tedeschi, in piena democrazia, benessere, con i risultati della riunificazione ormai consolidati, con il politicamente corretto da loro stessi imposto al mondo, con gli Orsi d'Argento dei festival di Berlino e la cultura globalizzata di internet, abbiano ceduto alla tentazione di fare di questi Europei i giochi dello spread, con l'obiettivo di dividere, nuovamente, le squadre ed i popoli d'Europa in serie A e serie B. «Com'è possibile che tanti spagnoli e irlandesi spendano soldi per seguire in Polonia la loro nazionale?» si sono domandati fin dall'inizio i giornali di Amburgo e Monaco di Baviera, quasi che il biglietto fosse a carico del leggendario contribuente tedesco. Ora che noi (spread a 430) li abbiamo buttati fuori e ce la vediamo in finale con la Spagna (spread a 500), speriamo in Germania facciano tesoro e parlino solo di calcio. Avrebbero dovuto già pensarci dopo la finale di Champions, quando il 70 per cento dei tifosi neutrali tifò Chelsea contro il Bayern. Nel frattempo cerchiamo di dare l'esempio e torniamo a parlare del summit di Bruxelles. Il risultato principale di Monti è avere ottenuto un risultato immediato, concreto (anche se dovrà essere finalizzato entro il 9 luglio) contro la speculazione e a difesa della moneta unica. Sono gli stessi vertici europei a meravigliarsi della «svolta», a cominciare dal presidente del Consiglio europeo Hermann Van Rompuy e da quello della Commissione, José Manuel Barroso; quasi che le decisioni siano l'eccezione e non la norma. Evidentemente ci eravamo abituati al contrario. Così come ci eravamo assuefatti ad una unanimità di facciata, nella quale a guadagnarci erano solo i tedeschi. Monti si è ricordato che nell'Unione europea esiste anche il diritto di veto, e l'ha esercitato seguito dalla Spagna e spalleggiato dalla Francia. E a chi pensa ad una rivolta del Club Med, ricordiamo che in passato il no era stato sempre fatto valere dai paesi del Nord: Gran Bretagna, Danimarca, e soprattutto - senza neppure bisogno di affermarlo esplicitamente - dalla Germania. All'atto pratico ciò che ha portato a casa il premier italiano è un firewall antispread. Una barriera anti-speculazione, che è, nelle sue varie forme, ciò che fanno abitualmente tutte le banche centrali ed i governi del mondo. Il meccanismo non è perfetto, e le munizioni sono ingenti ma non illimitate: i due fondi attivabili, l'Efsf e il nuovo Esm, dispongono rispettivamente di mille e di 700 miliardi di euro. Potranno utilizzarne 80 di volta in volta su richiesta dei Paesi sotto spread, a condizione che questi si rivolgano alla troika europea che dovrà verificare se i richiedenti stanno facendo i compiti a casa; ma la troika non dovrà sostituirsi ai governi com'è invece per chi ricorre ai prestiti, attualmente Grecia, Portogallo, Irlanda e Cipro. E, per le banche, la Spagna: dove invece i fondi europei che aiuteranno le banche entreranno direttamente nei bilanci e nei consigli di amministrazione. Un altro passo avanti. Ecco perché si può a buon diritto parlare di firewall, la misura da mesi invocata dagli Usa e dalla Gran Bretagna, le cui banche centrali possono stampare tutte i dollari e le sterline che vogliono. L'Eurotower di Mario Draghi avrà al momento solo il ruolo di «agente», cioè di coordinatore dello scudo. Ma è comunque un passo in avanti significativo. Va detto che questa soluzione ha anche i suoi critici. Non per l'«azzardo morale» opposto dalla Merkel, ma per le possibili controindicazioni pratiche: come tutti i calmieri potrebbe cioè incoraggiare la speculazione e le operazioni allo scoperto. Qui starà alla efficacia della Bce, alla collaudata abilità di Mario Draghi, compresa la sua conoscenza diretta dei draghi degli hedge fund ai quali dovrà caldamente sconsigliare di lasciar perdere, e naturalmente ai governi beneficiari, Italia in testa, che dovranno dare prova di fare il loro lavoro. Tutto ciò però rischia di avere nuovamente vita breve se l'Europa intera non si convince di qualcosa che spesso, e a torto, scambiamo per retorica: ci si salva solo con un'azione comune e solidale. Dove la solidarietà non è beneficenza, ma condivisione di diritti e doveri. Su questo punto la Germania ha molto di buono da dire, da dare e da ottenere: è il paese più forte e ha fatto le riforme. Ma non è geneticamente diverso da noialtri. Anche a Berlino, tra l'altro, non mancano intrighi e contrasti, come si è visto negli ultimi giorni con le proposte e le smentite tra la Merkel ed il suo ministro delle Finanze Wolfgang Schauble, che sempre di più ha vestito i panni della colomba. Se i tedeschi tornano tra gli umani avremo tutti da guadagnarci, loro per primi. Se non si metteranno subito a coltivare propositi di rivincita o di rappresaglia, smontando ciò che è stato fatto, meglio ancora. Un politico furbo, e magari la Merkel lo è, riesce a trasformare una sconfitta in un ritirata strategica e quindi in una vittoria per sé e per gli altri. Gli inglesi hanno avuto Waterloo, ma anche Dunkerque. I tedeschi si fermarono alla Manica. La nazionale di Löw ha un'età media molto giovane, 24 anni: potrà rifarsi, se l'ottimo Löw migliora i meccanismi difensivi e non dà retta a cattivi consiglieri. Siamo sicuri che lui non ci ha mai considerato una squadra di pizzaioli.

Dai blog