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Squinzi sbugiarda il governo: «Conti sbagliati»

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Confindustria: «I danni provocati dalla crisi paragonabili a quelli di un conflitto»

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Mai danni economici fin qui provocati dalla crisi sono equivalenti a quelli di un conflitto». Parla chiaro il presidente della Confindustria Giorgio Squinzi mentre sfoglia il dossier del Centro studi che traccia un preoccupante scenario economico. «Sono state colpite le parti più vitali e preziose del sistema Italia: l'industria manifatturiera e le giovani generazioni. Quelle da cui dipende il futuro del Paese». Per il Centro Studi «l'aumento e il livello dei debiti pubblici sono analoghi, in quasi tutte le economie avanzate, a quelli che si sono presentati al termine degli scontri bellici mondiali. Una sorta di guerra c'è stata ed è tuttora in corso, ed è combattuta, una volta di più, dentro l'Europa e dentro l'Italia. Come nei secoli passati, in cui le divisioni e gli interessi di parte prevalevano su tutto e tutti». Le previsioni sono sconfortanti e peggiori di quelle fatte finora. Il pil, la ricchezza nazionale, quest'anno dovrebbe scendere del 2,4% e dello 0,3% nel 2013 dopo che ci sono stati incrementi dell'1,8% nel 2010 e dello 0,4% nel 2011. Per il 2012 è stimato inoltre un calo della domanda di beni pari al 4,3% (-1% nel 2011), con i consumi delle famiglie che flettono del 2,8%, «conseguenza della fiducia al minimo storico, dell'ulteriore riduzione del reddito reale disponibile, della restrizione dei prestiti e dell'aumento del risparmio precauzionale». Ad aggravare questo scenario c'è il crollo degli investimenti dell'8% per effetto dell'estrema incertezza e del proibitivo accesso al credito bancario. E un quadro ancora più fosco viene dipinto sul fronte del mercato del lavoro, con un calo dell'occupazione stimato all'1,4% nel 2012 e allo 0,5% nel 2013, anno che si chiuderà con quasi 1,5 milioni di posti di lavoro in meno rispetto all'inizio del 2008. Numeri che fanno dire al direttore del Centro Studi, Luca Paolazzi, che «l'Italia è nell'abisso». «Siamo in piena recessione e non ne usciremo tanto rapidamente» commenta Squinzi. E a fronte di questo scenario la riforma del mercato del lavoro «è assolutamente insoddisfacente». In Italia, rispetto ad altri Paesi, i dipendenti pubblici sono «pochi e molto più vecchi». Lo rileva Confindustria, nel capitolo del rapporto del centro studi che approfondisce il tema del peso della burocrazia. Dal rapporto energe anche che in Italia i dipendenti pubblici sono il 14,3% della forza lavoro (dati 2008), meno di Danimarca (in vetta con il 28,7), Svezia, Finlandia, Francia, Regno Unito, Belgio e Stati Uniti; più di Spagna, Portogallo, Paesi Bassi, Germania, Grecia, Giappone (in coda con il 6,7). Sono poi in assoluto i «più vecchi», con il 53,2% oltre i 50 anni (dato 2009): la percentuale più bassa è in Giappone, con il 25%; al secondo posto dopo l'Italia la Svezia, già con uno scarto di quasi dieci punti (44%). Il Centro Studi poi calcola che i costi amministrativi che gravano sulle imprese ammontano a più di 26 miliardi l'anno. La correzione delle stime da parte di Confindustria, per il ministro per lo Sviluppo Economico, Corrado Passera, «è dovuta ad un andamento della gestione del debito europeo da parte dell'Europa meno efficace di quanto Confindustria aveva stimato precedentemente - ha sottolineato - quindi il lavoro interno va secondo noi nella direzione che volevamo». Il ministro per la Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, ha sottolineato che «in tempi di crisi e di scarsità delle risorse, quando gli altri sono in difficoltà, lo Stato non solo non può sperperare, che direi è la condizione minima, ma nemmeno spendere in cose che non siano essenziali».

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