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Alla fine anche la poderosa corazzata Bismarck, orgoglio dell'industria tedesca, fu affondata nonostante sembrasse invincibile.

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Iprimi sintomi della malattia ci sono. Ieri è infatti arrivato un dato che conferma come qualche granellino di sabbia sia entrato negli ingranaggi della locomotiva d'Europa. È calato, infatti, e più del previsto il clima di fiducia delle imprese. A giugno l'indice elaborato dal centro studi Ifo è sceso a 105,3 punti, dai 106,9 punti di maggio segnando la seconda flessione consecutiva. In media gli analisti si attendevano che l'Ifo calasse a 105,9 punti. A questo valore si deve poi aggiungere quello ancora più netto fornito da un altro centro studi tedesco, lo Zew che relativamente al solo settore della finanza ha registrato il calo di fiducia più forte da 14 anni, sempre a riflesso delle tensioni nell'area euro. L'istituto che stila l'indicatore, ovvero lo «Zew Center for Economic Research», ha commentato il calo affermando che «a contribuire al forte declino del dato, sono stati il peggioramento delle condizioni di salute delle banche spagnole e l'insicurezza sull'esito delle elezioni in Grecia dello scorso 17 giugno, che hanno condizionato in modo notevole il periodo di riferimento» a cui si riferisce lo Zew. Dallo Zew, è emerso tra l'altro che la maggioranza degli investitori ora prevede che le condizioni economiche della Germania peggioreranno entro l'arco dei prossimi sei mesi. Un brutto colpo per l'indomabile rigore prussiano della Merkel. Anche se il Financial Times ha scritto chiaramente che la colpa non è legata alle politiche di Berlino ma che la «Germania è infettata dal peggioramento delle preoccupazioni sull'Eurozona». Le colpe probabilmente stanno nel mezzo. Ma il dato concreto è che il deterioramento significativo dei fondamentali è innegabile, soprattutto nel settore manifatturiero. L'indice del comparto tedesco ha segnato un record negativo, scendendo a 44,7 punti, al minimo in tre anni. Lo stesso numero uno dell'istituto che stila l'indice Ifo, Hans-Werner Sinn, ha ammesso che «il recente aumento delle incertezze nell'Eurozona sta avendo un impatto sull'economia tedesca». Non solo. Ad allarmare i centri studi ma anche gli stessi consiglieri della Merkel, è anche l'indebolimento della crescita della Cina e il contestuale calo di importazioni germaniche da parte di Pechino. Berlino ha sostituito una parte dei suo mercati di riferimento, quelli europei in calo di domanda, con quelli emergenti. Il gioco sta però per finire perché la crisi globale sta cominciando a intaccare anche le prospettive delle economie più effervescenti. La combinazione di tutti questi fattori dà come verdetto che la locomotiva dell'economia Ue sta scricchiolando. Sono poi settimane che i mercati si chiedono quale sarà il prezzo che la Germania dovrà continuare a pagare per togliere dall'impasse i partner europei. E si guarda anche all'isolamento della cancelliera Merkel, che con la sua ossessione contro l'inflazione, continua a condizionare le politiche monetarie della Bce, che non si sono tradotte ancora in un taglio dei tassi di interesse. Facendo così del male non solo all'Eurozona intera, ma alla fine anche alla sua Germania. Non se ne esce. La connessione tra le economie è così stretta che è inevitabile che i problemi dei paesi periferici si trasferiscano sui più forti. Dunque bisogna trovare un compromesso. Una delle possibili soluzioni potrebbe essere una svalutazione accompagnata dell'euro verso il dollaro. Vecchia medicina. Amara da ingoiare per Berlino. Ma sempre valida.

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