Il Senato manda Lusi in prigione
o.La votazione è avvenuta in maniera palese e non con scrutinio segreto, come a un certo punto sembrava probabile. Ma la giornata è stata tutt'altro che serena. Lo testimonia il risultato finale della votazione: 155 sì, 13 no e un astenuto. Sembrerebbe un plebiscito, in realtà il fronte del sì è rimasto al di sotto della maggioranza assoluta dei senatori e determinante è stata la scelta del Pdl di abbandonare l'aula al momento del voto. Una decisione arrivata dopo un asprissimo confronto tra i senatori del Popolo delle Libertà. Alcuni di loro, sembra sei o sette, avevano infatti firmato la richiesta di voto segreto. Altri ancora erano convinti di dover dire «no» alla richiesta dell'autorità giudiziaria in nome del radicato garantismo di via dell'Umiltà. Alla fine, dopo l'ennesima riunione ad alta tensione, è maturata la scelta di non votare. A chi l'ha vista come un lavarsene le mani, hanno risposto i vertici del gruppo al Senato, Gasparri e Quagliariello: «Abbiamo voluto che fosse la sinistra a occuparsi di una vicenda che riguarda lei e solo lei - hanno spiegato all'unisono - Ora vogliamo che si faccia chiarezza sulle responsabilità dei dirigenti della Margherita, non venissero a raccontarci che Lusi ha fatto tutto da solo». «Abbiamo rinunciato al voto segreto - hanno concluso - perché se no qualcuno avrebbe salvato Lusi e il Pd avrebbe utilizzato il tutto per montare un caso contro il Pdl. Il nostro comportamento ha scongiurato questo piano». Ieri sera Lusi si era già costituito nel carcere di Rebibbia, dove oggi sosterrà l'interrogatorio di garanzia dopo aver trascorso la prima notte in prigione. Al termine del voto il senatore appariva scosso, ma non per questo disposto a deporre le armi. Anzi. L'ex tesoriere ha infatti detto di avere «ancora moltissime cose da riferire ai magistrati». I bersagli dei suoi strali sono facilmente rintracciabili nel discorso di mezz'ora che, davanti a un'aula gremita ma insolitamente silenziosa, aveva tenuto per chiedere ai colleghi di risparmiargli il carcere: «Io sono soltanto il capro espiatorio per appagare l'antipolitica - la sua autodifesa - e sono vittima di un equivoco giuridico, perché mi hanno accusato di associazione a delinquere e non di appropriazione indebita, misura per la quale non è prevista la custodia cautelare in carcere». Poi l'attacco diretto all'ex-amico Francesco Rutelli: «In quest'aula c'è qualcuno che è parte in causa e non dovrebbe prendere parte al voto», dice Lusi, ribadendo che «è impossibile che i vertici del partito non sapessero nulla dei movimenti che facevo. In fondo non mi hanno mai mosso alcuna contestazione». Il nome vero e proprio lo fa poco dopo: «Ho saputo che il telefonino del senatore Rutelli oggi è stato caldissimo, impegnato com'era a convincere tanti colleghi a ritirare la firma per il voto segreto». Il leader dell'Api è seduto a soli cinque banchi di distanza. Ascolta l'intero discorso di Lusi senza particolari reazioni, solo ogni tanto scuote la testa e prende appunti. Alla fine deciderà di non partecipare al voto, cosa che invece farà il senatore Bianco, altro ex Margherita tirato in ballo da Lusi nel suo «j'accuse». L'ex tesoriere conclude il suo discorso chiedendo scusa al popolo e assumendosi le responsabilità per quanto successo: «Morali - specifica - perché di quelle penali deve occuparsi solo la magistratura». Quando si siede nessuno va a stringergli la mano, così come in molti avevano fatto finta di non vederlo al suo arrivo in aula. Già in quei momenti era apparso chiaro il suo destino. La maggior parte degli interventi sono contro di lui. Marco Follini del Pd, spiegando la decisione della Giunta per le immunità di assecondare l'arresto, aveva puntato su un'immagine forte: «Ventidue milioni - aveva detto - sono 1.033 anni di stipendio di un operaio». Poi era toccato a Li Gotti (Idv), Mura (Lega Nord), Bruno (Api-Fli), Serra (Udc) e Zanda (Pd) suonare il de profundis del senatore incriminato. E dopo che la Bonino aveva ricordato che «sono 14.000 i detenuti in carcere in attesa del primo giudizio, è un sistema che va cambiato», era venuto il momento dei pochi contrari. Tra questi il senatore Tedesco, ex Pd che l'anno scorso fu salvato da un analogo voto, e i due «dissidenti del Pdl Longo e Pera. A dimostrazione di quanto la scelta di «sacrificare» Lusi sia stata sofferta all'interno di tutti i partiti. Non a caso, al termine della votazione, Carra dell'Udc scrive su Twitter: «Il Senato ha votato contro il suo Schettino. Un uomo solo muoia perché tutti gli altri vivano». Un concetto ripreso, prima di abbandonare Palazzo Madama, dallo stesso Lusi: «Sto vivendo un incubo - ammette - questo voto è un segno dei tempi, si sta chiaramente giocando una partita politica molto più in alto». Il senatore non ha comunque voglia di arrendersi: «Non mi dimetto dal Parlamento - spiega - quante volte è capitato che una persona finisse in galera e poi venisse riconosciuta colpevole? Ci vediamo a Natale». Nell'attesa, può fregiarsi di due tristi record: mai il Parlamento si era espresso col voto palese su una richiesta d'arresto, mai era stata concessa un'autorizzazione contro un senatore. Comunque la si valuti, è una svolta storica.