Il calcio della Merkel
Sport e politica sono mondi paralleli, in apparenza distanti, in realtà intimi, intrecciati, indissolubili. Se si volesse leggere la storia della contemporaneità, nessuna metafora è più efficace dello sport e della corsa allo spazio. Superamento del limite. Bandiera. Orgoglio nazionale. Le Olimpiadi, i mondiali di calcio, le sfide a ping pong tra Stati Uniti e Cina, i lanci di razzi e satelliti tra Russia e America. Le relazioni internazionali raccontate da cronache terrestri e spaziali che parlano di cento metri, salto in lungo, gol e rigore, zona totale, catenaccio, lancio, orbita, allunaggio e rientro. Superamento dei limiti. Ecco perché ai campionati europei Il Tempo dedica un’attenzione che può sembrare insolita: è la geopolitica che si manifesta in altre forme, la storia delle nazioni che si fa e disfa mentre un pallone rotola sull’erba. Ecco perché Angela Merkel ieri ha preso una decisione poco diplomatica: ha chiesto a Monti e Hollande di anticipare il vertice europeo perché vuol essere in tribuna a Danzica domani ad assistere alla sfida tra Germania e Grecia. Monti non rinviò il vertice con Hollande a Palazzo Chigi qualche giorno fa. È la differenza che passa tra un politico (Merkel) e un tecnico (Monti). Sport? Sì, ma c’è di mezzo la politica, il prestigio, la potenza della Germania. La Grecia deve perdere. È la vittoria di Berlino su Atene. La crisi è in campo e nello spogliatoio: gli azzurri sono pronti a rinunciare al loro premio europeo. È un bel gesto. La Federazione lo accolga. Gli italiani apprezzeranno. Il direttore di questo giornale tiferà Grecia e sarà in buona compagnia. Ho ammirazione per i deboli che sfidano i titani. Faranno altrettanto i colleghi de Il Foglio di Giuliano Ferrara, milioni di italiani e europei che non condividono la linea teutonica del rigore costi quel che costi. Ricordo la frase di un mitico allenatore della Sampdoria, Vujadin Boskov: «Rigore è, quando arbitro fischia». Ecco, la Germania non può essere l’arbitro dei nostri destini. Perché è un giocatore in campo. Può essere un partner, certo, ma solo se lavora a un progetto di crescita comune dell’Europa. Cosa che per ora non c’è. I giocatori della Grecia in campo domani sono la metafora del Paese povero, con una classe dirigente inetta, che ha bisogno di aiuto e fiducia, non di un programma di strangolamento per mezzo dello spread e dello swap. Ho grande rispetto per i tedeschi, la loro grandiosa musica e filosofia, ma mi preoccupa la loro tendenza ad allargarsi, il naturale dispotismo insito nel loro linguaggio. Hanno «fame di spazi», fa parte dello spirito tedesco e si manifesta a ondate nella storia. Devono essere fermati. Il calcio serve anche a questo. Forza Grecia.