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L'orologio dei partiti è sempre fermo

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La politica può essere fuori dalla storia? No, ma alcuni soggetti che la costituiscono possono subirla fino ad esserne espulsi. È quel che sta capitando al sistema dei partiti italiani. Nonostante le differenze, i movimenti politici provano lo stesso senso di smarrimento. Sentono di essere con un piede fuori dalla storia e stanno disperatamente cercando la mossa per rientrarvi. Nessuno dei grandi partiti che ha solcato le acque mosse della politica italiana negli ultimi vent'anni è in grado di offrire una narrazione convincente del presente e una visione del futuro. Il Pdl è piombato in una crisi d'identità causata dal passo indietro di Berlusconi, il fondatore; il Pd è stato trascinato nella crisi dai vortici causati dall'affondamento del governo di centrodestra. Finita la stagione dell'anti- i democratici si sono ritrovati senza una missione. Il Centro come spazio politico di manovra ben presto s'è mostrato un'illusione, un miraggio nel deserto del consenso in dispersione, astensione e libera uscita dai due blocchi originati dalla crisi del 1992. Costretti a inseguire l'avvenimento del giorno, un'agenda confusa che non controllano, i partiti sembrano rabdomanti ciechi a caccia dell'acqua, i voti perduti. Milioni. A pochi mesi dalle elezioni, con un governo tecnico in caduta libera di consensi, stretto tra «esodati» e «spread», prigioniero di un linguaggio che ne mostra la modesta cifra politica, il Paese non sa nulla di programmi, coalizioni, proposte per il domani e perfino la legge elettorale è una enorme nebulosa. Nel frattempo la crisi economica si sta mangiando il lavoro, sta consumando pezzi importanti di realtà produttiva, sta spostando la ricchezza finanziaria verso altri Paesi. L'impatto della contemporaneità sull'establishment italiano è stato devastante: un sistema cristalizzato, con una gerontocrazia somigliante a quella dei mandarini cinesi, uno Stato onnipresente e vorace, improvvisamente scricchiolano fin dalle fondamenta. Tutto cambia, ma niente gattopardescamente potrebbe cambiare. Per una ragione semplice:non ci sono regole per competere, ma sistemi per cooptare e nominare. Le eccezioni confermano la regola e, quando serve, la «combine» sistema tutto. Accade per le elezioni primarie nei partiti (attendo con ansia i contorcimenti nella scrittura del regolamento per quelle del Pdl), accade per le nomine della Rai (dove la «società civile» del Pd è una mascherata ultramilitanza), accade perfino per le richieste d'arresto di parlamentari inquisiti (esemplare sarà oggi il voto sul caso del senatore Lusi). Accade, in Italia. Ci sarà una nuova narrazione?Faccio fatica a vederne una costruttiva. Le lancette dell'orologio sono ancora ferme all'ora del piccone.

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