Dopo i partiti? Scenario da incubo
Masoprattutto paralizzati. Dall'impotenza, ovviamente, della quale sono perfettamente consapevoli, ma non sanno come uscirne. I partiti non dovevano certamente attendere le devastanti rilevazioni Swg, per rendersi conto che la loro stagione si sta accorciando velocissimamente. Sanno di essere malati terminali eppure rifiutano le cure più dolorose per accontentarsi di quelle palliative sui cui esiti è lecito nutrire dubbi. Annunciano, infatti, fidando sull'effetto placebo, riforme che sanno di non poter fare tanto per provare a uscire dallo stato comatoso. Un giorno è il presidenzialismo, un altro l'anticorruzione che così com'è congegnata non arriverà in porto prima della fine della legislatura, un altro ancora la riduzione del numero dei parlamentari che procede a rilento, ma che se pure dovesse passare avrebbe un'efficacia limitata lasciando invariati i regolamenti parlamentari, e poi la sempre promessa legge elettorale: se ne parla, si elaborano bozze che vengono discusse dai soliti "saggi", ed inevitabilmente non se ne fa nulla. Mario Sechi ipotizzava ieri che dopo le elezioni ci potrebbe essere ancora Monti a Palazzo Chigi sostenuto da una maggioranza perfino più strana. È possibile. Ma, al momento, sulla base delle intenzioni di voto si può drammaticamente prevedere la più totale ingovernabilità se davvero il Movimento 5 Stelle dovesse fare irruzione in Parlamento con la carica di quasi cento deputati. E allora, che cosa accadrà? La diciassettesima legislatura quanto tempo durerà? Cinque, sei mesi, forse un anno? Inevitabilmente nella primavera del 2014, se la situazione dovesse restare invariata saremo nuovamente chiamati alle urne, con quali prospettive è difficile dirlo. Incontestabile, al momento, è la decomposizione del sistema. Tanto sul versante di destra, quanto su quello di sinistra i numeri, per quanto virtuali, ci dicono che è impossibile la formazione di una maggioranza solida, coesa, coerente. Per non parlare dei centristi ridotti al lumicino: il defunto terzo polo (ora senza nome dopo il tweet di Casini che ne annunciava il decesso) assommerebbe a poco più dell'otto per cento. E nonostante tutto ancora ostenta un ruolo che, in verità, non ha mai avuto. Tanto il Pd che il Pdl, raccogliendo opinioni sparse in Transatlantico, fanno intendere che il loro desiderio più grande, se avessero a disposizione una lampada di Aladino, sarebbe quello di fermare il tempo. Ma quali elezioni, mi diceva un deputato bersaniano l'altro giorno: nessuno ha la vocazione al martirio. Non ce l'hanno, beninteso, neppure i berlusconiani, sempre meno berlusconiani com'è ovvio che sia, non capiscono come sia potuto accadere che in soli quattro anni quella che sembrava un'invincibile armata abbia perduto ventidue punti percentuali. Avrebbero potuto saperlo a che cosa andavano incontro se in tutto questo tempo si fossero soffermati sulle ricorrenti crisi che hanno attraversato il partito, sulle incongruenze denunciate dai giornali amici e prese per atti di lesa maestà, se avessero umilmente fatto un po' di autocritica e si fossero guardati dentro, se avessero aperto le porte alle energie ed alle intelligenze che chiedevano di entrare. Hanno preferito asserragliarsi attorno all'autoreferenzialità. Il capo aveva sempre ragione e l'oligarchia immaginava di prosperare a lungo raccattando improbabili alleati in Parlamento ed evitando accuratamente di lanciare un programma di rinnovamento parallelamente ad un sostegno critico e stimolante al governo. Dei partiti in democrazia non si può fare a meno. Ma di partiti seri, veri, forgiati nel fuoco delle idee e non parassitariamente cresciuti nelle acque torbide del politicismo senza ideali. Un esempio? La riforma dello Stato. Un grande tema, indubbiamente, che la crisi ha reso ancor più attuale. Perché la Repubblica presidenziale è stata tenuta nel cassetto, tirandola soltanto quando non c'era più tempo né per innescare un virtuoso dibattito pubblico, né per vararla in Parlamento con le procedure costituzionali previste dall'articolo 138? Ecco, per restare sul piano della concretezza, un esempio di insipienza dei partiti politici che avrebbero un modo per riqualificare se stessi di fronte all'opinione pubblica procedendo ad un grande rinnovamento. Adesso che il tempo è scaduto non vale neppure la pena di piangere sul latte versato. Cosa c'è dopo i partiti? Il nulla politico, l'arroganza tecnocratica, la rabbia popolare. Uno scenario da incubo. *deputato del Pdl